La strada di Pierluigi Dessì



Alla fine, la strada di ciascuno è la strada di tutti. Non vi sono viaggi isolati perché non vi sono viandanti isolati. Tutti gli uomini sono uno e non vi è un’altra storia da raccontare. (Cormac McCarthy – Oltre il confine)

Origina dell’evoluzione della staged photography, il linguaggio estetico che Pierluigi Dessì utilizza per scandire le tappe della vita con un approccio concettuale alla tematica della strada. Nello specifico la locale 131 che collega i due estremi dell’isola, da Cagliari a Portotorres. Non luogo che si presta come sfondo ideale ad articolare la storia di un viaggio, metafora dell’esistenza in questa conflittuale epoca postmoderna. Dalla nascita alla morte, passando per la scuola, il lavoro, l’arte e l’amore, leggendo tra le trame del bene e del male poiché la vita è come una stoffa ricamata della quale ciascuno nella propria metà dell'esistenza può osservare il diritto, nella seconda invece il rovescio: quest'ultimo non è così bello, ma più istruttivo, perché ci fa vedere l'intreccio dei fili, per parafrasare Schopenhauer.


Capace di restituire immagini dalla forza espressiva visionaria senza cadere nella semplicistica denuncia sociale, Pierluigi Dessì mette in scena una parvenza di realtà smentita dal contenuto stesso dell’immagine per dare vita a seducenti set teatrali realizzati con minuzia analitica. Dal fondale della strada - davanti al quale hanno posato i personaggi e che rappresenta la costante della ricerca - alle luci ricreate con la stessa intensità del fondo, sino al punto di vista, che volutamente, invece, se ne distacca per una sensazione di estraniazione che determina un apparente nonsense. Rigorosamente senza l’ausilio della manipolazione digitale.



Nonostante lo sguardo glamour - che per fascinazione estetica e ricerca pura ed assoluta della luce lo accostano ad Erwin Olaf - i riferimenti sono alla condizione esistenziale che inducono alla umana riflessione. Dal senso della caducità della vita all’analisi sul significato imperscrutabile di divino. Il tutto filtrato dal linguaggio pubblicitario, proveniente dalla cartellonistica, e dalla conseguente esplicita relazione con la Pop art, ma anche dalla ricostruzione scenografica che David Lachapelle, con sguardo lucido e attento, struttura tra impronta surreale e cromatismi sferzanti. Sofisticato e destabilizzante, eccentrico e a tratti irriverente, Pierluigi Dessì provoca e stupisce. Tanto più quando al di là dell’articolato linguaggio del corpo, che fa da protagonista in quell’universo apparentemente patinato, s’intuisce la condizione effimera dell’esistenza determinata da un numero che identifica ognuna delle sei immagini, un po’ come le pietre miliari, un po’ come le vittime on the road. Dal momento che spesso si muore anche per la strada. Soprattutto sulla 131.




(Testo del catalogo della mostra in corso al 2+1 Officina Architettura)

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