Fingerprints
Fingerprints, ovvero Impronte digitali nasce come opportunità di interazione e scambio di idee, di sensibilità differenti, talvolta contraddittorie ma individuali. Così come l’impronta digitale. Unica poiché muta da individuo a individuo. Perciò, quale miglior sistema di identificazione se non quello delle indelebili impronte digitali? Tratto distintivo che rappresenta l’essenza della personalità artistica. Peculiarità che caratterizza l’individualità creativa e che ne determina il genoma a favore di una riconoscibilità immediata.
Con l’obiettivo di proseguire un discorso di crescita culturale e valorizzazione del territorio sulcitano, il progetto propone di indagare alcuni dei linguaggi espressivi, che vanno dal disegno alla pittura, dall’installazione all’elaborazione digitale fino alla grafica, coinvolgendo quattro giovani artisti, - selezionati nel territorio di Carbonia - alla loro mostra personale d’esordio. Luigi Bove, Veronica Gambula, Riccardo Manca e Nicola Testoni sfrutteranno una location, non convenzionale all’esposizione, negli ex locali della miniera di Serbariu per connotare un ambiente che riveli la sintesi del loro lavoro, partendo dal leit motiv che emerge dal seppur breve percorso e che ne caratterizza la ricerca. Una nuova generazione di artisti che nonostante la giovane età possiede una propria riconoscibilità, un proprio codice genetico che li contraddistingue dagli altri. E dove la costante della ricerca artistica è di coniugare l’iconografia occidentale della tradizione storico-artistica alla cultura popolare e massmediatica. Tendenza contemporanea dai molteplici innesti definita Neo pop. Fuori c’è il mondo. L’arte pop guarda fuori, al mondo, mostra di accettare il suo ambiente, il che non è né bene, né male, ma soltanto il segno di un atteggiamento diverso. (Roy Lichtenstein)
Giovani con differenti background ed eterogenei modi di vedere la realtà, con l’obiettivo d’indagare il lato oscuro dell’umanità, hanno in comune una componente surreale che convive con un realismo più o meno marcato, a seconda della personalità. Capaci di reinventare una cultura visiva che mette in relazione il linguaggio pittorico con altre forme considerate arti minori come illustrazione, fumetto e cartoon. Che ascoltano Nick Cave ed il rock anni ‘70, leggono fumetti ma divorano anche Calvino, Baudelaire e Kafka, e traggono ispirazione dai maestri del cinema da Lynch a Inarittu. Che indisturbati osservano il mondo e rielaborano la realtà attraverso il loro esclusivo punto di vista, poiché un’opera d’arte è superiore soltanto se è, nello stesso tempo, un simbolo e l’espressione esatta di una realtà, per parafrasare Guy De Maupassant. Realtà filtrata da subculture come Street art e fumetto che trova corrispondenza nella Lowbrow californiana dalla quale sembrano provenire gli stimoli estetici di Luigi Bove che, in maniera ironica e a tratti irriverente, esplora la società contemporanea servendosi dell’intervento digitale per simulare un videogioco interattivo. Ma anche miscelata a cultura manga e Pop art occidentale, come nel movimento Superflat di Murakami, territorio fertile per Veronica Gambula che si cimenta tra disegno, incisione, scultura e installazione per scandire le fasi drammatiche dell’individuo dalla nascita alla morte. Al Pop surrealismo, con tratti fortemente espressionisti, si rifà invece l’estetica di Riccardo Manca che attraverso sintetici e veloci tratti indaga il lato oscuro dell’esistenza distinguendosi dalla New folk di Nicola Testoni, interprete di una sensibilità apparentemente più pacata, ma non per questo meno incisiva, per analizzare il tempo perduto e le inquietudini infantili prendendo le mosse dalla fiaba di Pinocchio.
Luigi Bove
Viviamo in una società urbana, incessantemente esposta ai mass media. I nostri dati visivi primari sono nella maggior parte di seconda mano. Non è logico che l’arte sia fatta con ciò che vediamo? Non è stato così nel passato? (Henry Geldzahler)
Si configura come pretesto per scandagliare la quotidianità della vita reale, il platform game abilmente creato da Luigi Bove: Gigez alla ricerca della felicità. Attraversando in bicicletta scenari che nascondono insidie d’ogni genere - tempeste tropicali, nemici dalle intenzioni oscure, ostacoli e salti nel vuoto -, il protagonista deve recuperare la busta magica prima che precipiti nel caos più assoluto: la busta che si trasforma in principessa, le porte della percezione che si aprono qua è là e i nemici che appaiono nelle forme più insolite e minacciose. Nonostante lo spirito ludico, Luigi Bove si pone in una condizione di denuncia nei confronti di una società artificiosa che detta i propri codici di omologazione su valori comunemente condivisi confluendo in uno stato tra mercificazione selvaggia e appiattimento culturale.
Dalla cultura underground della Street art e della cartellonistica e dall’iconografia di cartoons e fumetti generano le elaborazioni digitali dell’artista che per l’occasione ha strutturato il percorso interattivo del videogioco “vecchio stampo” di sua invenzione al quale ha conferito un’anima. Gigez possiede un impianto hi-fi in salotto col quale ascolta musica elettronica 8 bit. Gli piacerebbe guardare la tv ma con tutti quei nemici intorno non può certo rilassarsi sul divano, è inoltre affascinato Street Art che ha modo di ammirare durante le piccole passeggiate in bici.
Veronica Gambula
Volevo attraversare i confini della realtà, volevo vedere cosa sarebbe successo: solo curiosità! (Jim Morrison)
La riflessione sulla condizione umana - condizionata da un’estrema fragilità interiore -, la paura, l’inerzia, l’incapacità di reagire al soccombere del proprio destino, sono incarnate dalle sembianze di un corpo smagrito, anonimo e innocente, nell’opera di Veronica Gambula. Eclettica artista che si misura con disegno, incisione, scultura e installazione. Col nero riverso durezza. Non esiste orizzonte sereno ma una selva oscura dove volti, come anime dannate, si ripetono, si confondono e si consumano come il carboncino sulla carta. E mentre l’azione dà vita al sentimento il cuore si rilassa e io sono al centro dell’universo. La visione fortemente negativa dell’esistenza sembra attingere dal male di vivere che Montale descrive. Quel male che incombe senza risparmiare nessuno. Come la morte.
Anime in pena dagli ipertrofici tratti somatici e dagli occhi pesantemente cerchiati sono spesso vergati con gesto convulso, giustapposti in maniera concentrica sortendo effetti cinetici o occupando tutta la superficie con l’esasperazione dell’horror vacui. L’aspetto ludico conferito all’intera produzione, con l’obiettivo di smorzare la drammaticità insita nelle rappresentazioni, ne accentua invece la parvenza grottesca. E quando dai profili dei corpi, rigorosamente assemblati nei particolari, emergono inattesi ricami comprendiamo che sono gli unici tratti distintivi che rendono riconoscibile l’individuo. In una conflittuale società postmoderna fondata sulla serialità.
Riccardo Manca
E se guarderai a lungo nell’abisso anche l’abisso vorrà guardare in te. (Edgar Allan Poe)
È lo specchio di un’umanità sofferente, piegata su se stessa in attesa dell’inevitabile, la costante nel linguaggio estetico di Riccardo Manca. Spietati ritratti dalle forme spigolose, calati in uno spazio senza tempo, sono ottenuti dall’impeto di una gestualità drammatica e convulsa. La deformazione espressionistica dei volti trova il suo riscontro nella prezzante sintesi formale della Die Brucke e di Sconberg senza trascurare il campo d’azione di Keith Kollwitz. Ai disegni l’artista accosta frasi talvolta riprese da autori celebri altre partorite dalla sua mente. Compaiono anche accostamenti di lettere, numeri e codici, formule arcane a rimarcare l’incomunicabilità, l’esigenza di capire al di là dell’apparenza. Ed è proprio dal suo esplorare lo spazio con tratti veementi ed essenziali che la metafora del viaggio, virtuale ed interiore, affiora inevitabilmente.
Delirante e visionario, l’artista spalanca gli abissi chiusi nell’animo umano. Racconta di uomini in balìa di se stessi e del proprio inevitabile destino la cui anima si riflette in un corpo deforme ed emaciato. Stretti nei loro colletti bianchi, i personaggi emergono dalla tensione verso il raggiungimento di un’introspezione psicologica che presuppone una condizione di pathos. Condizione che trova corrispondenza nelle Memorie del sottosuolo di Dostoevskij. Visione cinica dell’esistenza connaturata da un insormontabile disagio che deriva da una condizione di solitudine. La stessa patita dalle spasmodiche figure.
Nicola Testoni
Un’opera d’arte per diventare immortale deve sempre superare i limiti dell’umano senza preoccuparsi del buon senso e della logica. (Giorgio De Chirico)
Dall’accostamento di elementi apparentemente estranei tra loro prende avvio la ricerca di Nicola Testoni che al razionalismo scientifico accosta un immaginario tratto dalla tradizione pittorica italiana, passando per la Metafisica e il Novecento e approdare in un ambito attiguo alla tendenza New Folk. Un proposito d’indagine tra fascinazione estetica e sovvertimento del significato semantico che determina un apparente non sense. Così qualsiasi elemento del reale può improvvisamente cambiare di “segno” e ciò che normalmente è rassicurante può improvvisamente non esser più tale. Una sensazione di estraniazione scaturita dal contrasto tra ciò che riguarda l’infanzia e ciò che con essa apparentemente non ha alcun legame. E dall’insistenza di mettere a fuoco un soggetto replicandolo più volte.
Con sguardo lucido e disincantato, in un contesto dall’atmosfera sospesa, l’artista attinge dalla fiaba di Pinocchio per accostare un burattino completamente disarticolato a un telefono o a una trottola – cui attribuisce un senso di vorticosità del tempo - per una rilettura dell’infanzia come condizione oramai perduta e per le inquietudini ad essa connesse. Presupposto confermato dalla presenza di elementi come orologi e lumache che l’artista imprime sulla tela con la cura maniacale di chi combatte col proprio caos interiore per giungere all’essenza concettuale.
(Catalogo della mostra inaugurata il 18 dicembre alla Miniera di Serbariu a Carbonia)
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