Iconografia: VANITAS

Con questo pezzo ho inaugurato la rubrica Iconografia, ideata e curata dalla sottoscritta per la rivista Grandimostre, il cui intento sarebbe quello di analizzare, interpretare e classificare l'iconografia di temi religiosi sia biblici che evangelici, figure allegoriche e fantastiche, personaggi mitoligici e santi, avvenimenti storici, elementi della natura e oggetti. Il tutto attraverso il corso della sua evoluzione nei secoli fino ad arrivare all'epoca contemporaneacon esempi che ne scandiscano l'evoluzione.




Locuzione latina e incipit del testo biblico dell’Ecclesiaste, Vanitas vanitatum et omnia vanitas si traduce pittoricamente in un genere di natura morta che indaga la tematica del memento mori. La stessa che Leopardi interpreta come infinita vanità del tutto. Più facilmente abbreviata in vanitas, l’iconografia vede la luce nella seconda metà del XVI secolo nei Paesi Bassi calvinisti per diffondersi nel corso del XVII in tutta Europa come monito a condurre un’esistenza terrena conforme alla morale dell’epoca, in una società provata da epidemie e carestie che si rifugia inevitabilmente nei dogmi religiosi.





La caducità della vita umana, l’inconsistenza di ogni cosa terrena e l’ineluttabilità della morte sono i concetti che si celano dietro una serie di oggetti che rimandano ai piaceri mondani ed effimeri della vita e che si dividono in quattro gruppi principali. I simboli del sapere e del potere (libri, strumenti scientifici, denaro, oggetti preziosi, armi, corone e scettri), della vita frivola (dadi, carte da gioco, bicchieri, specchi, strumenti musicali), dell’inesorabile scorrere del tempo (orologi, clessidre, teschi, bolle di sapone, frutta bacata, animali morti o imbalsamati, cibo avanzato, candele spente, polvere sugli strumenti musicali) e dell’aldilà (tralci d’edera, rami secchi).






Il trittico Vanitas di Hans Memling e gli Ambasciatori di Hans Holbein il Giovane - non ancora sottoforma di natura morta - anticipano il tema successivamente svolto da Caravaggio nel celebre Canestro di frutta, da Adriaen Van Utrecht nella Natura morta con mazzo di fiori e teschio o dal bergamasco Evaristo Baschenis nei suoi inquietanti strumenti musicali fino ad arrivare a Jean-Simeon Chardin con le nature morte con animali e le bolle di sapone. Solo per citarne alcuni.





Ma l’iconografia della vanitas si diffonde anche attraverso altre tipologie, variazioni del tema rappresentate come allegorie, ritratti e dipinti di santi in meditazione, in particolar modo San Girolamo e Maria Maddalena, già noti in epoca rinascimentale. Nella seconda metà del XVII la vanitas come natura morta si svuota della carica morale diventando pretesto per rappresentare oggetti di lusso. Abbandonato nel XVIII secolo a favore di altre rappresentazioni legate alla morte, ritorna in auge nella seconda metà del XIX. Dalla Natura morta con teschio di Cezanne ai più contemporanei e celeberrimi teschi di Gabriel Orozco e Damien Hirst. Per ricordarci ancora che tutti dobbiamo morire. E in quello stato ci ridurremo. Nessuno escluso.


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