Studio d'Artista: Davide Volponi


Possiede quell’innata abilità di riuscire a tradurre i mali del mondo con sorprendente leggerezza, sottile ironia e gusto del paradosso, Davide Volponi. E lo fa maneggiando abilmente ogni tipo di materiale riciclato che decontestualizza e consegna a nuova vita. Spesso ingannevole e straniante, il suo è un universo creativo e visionario che attinge alla natura in tutte le sue espressioni cogliendo forme laddove nessuno si sofferma ad osservare. Mente eclettica, capace di coniugare pop arte e arte concettuale, trasforma le sue articolate narrazioni in fonti di nutrizione per lo spirito. In qualcosa di sacro da offrire alla collettività. Tra passione e ragione.

 Qual è la tua formazione e quali i modelli artistici di riferimento? Devo l’aver intrapreso questo percorso alla mia spontanea curiosità e naturale propensione a osservare e scrutare per ragionarci su. Da acquario convinto e palese ho avuto sempre un minimo di spirito creativo e ho cercato sempre qualche forma espressiva che tenesse questa “bella bestia” per dargli libero sfogo (da tempo con il compare Herny, per esempio, mi diletto a mettere dischi).

L’arte in ogni sua forma espressiva mi ha sempre destato molto interesse, sin dai tempi delle belle lezioni al liceo della mia professoressa Licia Lisei, fino ai viaggi fatti. Sono stato fortunato perché ho avuto la possibilità di vedere altri luoghi, altri posti e altre culture e forme espressive. Per tenere a bada la “bella bestia” bisogna nutrirla e allora bisogna confrontarsi, ascoltare, studiare e vedere mostre ed esposizioni.

Trovo così che anche la strada sia un posto dove incontrare forme artistiche interessanti, un luogo dove poter donare ciò che si vuole esprimere e raccontare. Si decontestualizzano i luoghi d’ arte o meglio per me oltre ai sacri e consueti luoghi d’arte, ogni luogo può essere un luogo magico e artistico.

Da cosa è scaturita la tua passione per il recupero e il riutilizzo dei materiali di scarto? Iniziare un’attività non scelta, che ho avuto l’onore e la fortuna di proseguire per più di vent’anni con mia sorella Barbara, mi ha dato la possibilità di avvicinarmi al mondo del legno, un materiale speciale come è stata questa esperienza dura, emozionante, fatta di incontri, scontri, momenti duri e belli, di persone come Silvana che mi ha insegnato ad avere disciplina nella vita, cosa importante anche nelle espressioni artistiche.

L’esperienza lavorativa mi ha anche dato la possibilità di conoscere intimamente dei lati sopiti di me, come la vena creativa la “bella bestia” che ondeggiava dentro di me e si è sprigionata proprio per contrastare il mio dover occuparmi dell’azienda e di tutto ciò che ad essa si legava con impegni e forti responsabilità.

Da qui ho dato attenzione al materiale speciale che ho avuto l’onore di trattare: il legno; e di unire a questo l’idea che non esista la parola scarto, rivolgendo l’attenzione agli “ultimi” i pezzi senza più un senso secondo i canoni classici che i tempi moderni ci insegnano. LA PAROLA SCARTO NON ESISTE. Questo è dunque ciò che unisce più o meno tutti i lavori che poi trasformo e adeguo nelle varie esperienze creative e che cerco di traslare anche nei rapporti umani. Esistono occasioni e opportunità per incontrare, trovare e potersi esprimere per sé e per gli altri.

Come nascono i Minimondi? Un esempio tipico del mio modo di esprimermi sono loro: i Minimondi. Mi sono appassionato per caso a loro, li ho trovati o loro hanno trovato me, i primi in un mercatino e poi grazie all’amico Antonello Mura e a Francesco di Mary Modellismo ho allargato la famiglia. La poetica e il giocare con queste minuscole figure è arte già nota con veri e propri maestri e io la interpreto a modo mio. Loro sono come un gruppo di piccoli Caronti che mi aiuta a far breccia e perlustrare mondi sommersi e nascosti che sono così solo apparentemente e che sono a fianco a noi. Si spalancano così le porte di mondi misteriosi in cui si intrecciano storie e sensazioni .

Li porto sempre con me in tutti i viaggi (in India per “colpa” loro sono stato anche arrestato per 15 minuti), nel bosco, al mare e in ogni occasione utile. E’ una forma di riflessione e meditazione che cerco di esprimere e raccontare, con e grazie a loro, attraverso delle immagini e istallazioni, alcune delle quali sono state poi protagoniste di mostre e esposizioni.

E la Salumeria Volponi? Il progetto fa il paio con i Palazzotti in legno, “arrogus”, scarti cubico-piramidali che invece diventano grattacieli. Qui invece gioco e riciclo il mio cognome che fa molto “salumiere” e poi do’ vita e riscatto a pezzi di legno circolari o con forme tondeggianti. E d’incanto nasce la Salumeria con tanto colore, ispirata al famoso Salame di jacovittiana memoria ma non solo. Da tempo seguo questo progetto artistico performativo itinerante (sono stato anche a Roma e NYC), con una pagina FB e Instagram e adatto il gusto e il tipo di insaccato ai pezzi di legno che trovo sia in spiaggia, forgiati dal mare, che nel bosco piuttosto che in deposito.

Segue poi il brand studiato con l’amico Rodrigo Da Costa e una salumeria creata nel tempo con coltelli, affettatrici, bilance trovate in giro per mercatini e macinini. Già macinini, perché ho scoperto che, per esempio, la segatura di faggio possiede dei poteri lenitivi interessanti. I pezzi diventano opere e complementi di arredo che gioiosamente invadono tavoli, cucine e dispense. Il messaggio, oltre a quello del riciclo, è anche quello del mangiare sano e di cibarsi con attenzione. Questi sono al 100% di puro legno. D.O.L. garantita.

Descrivi il processo creativo delle tue opere. Tutto nasce dal desiderio di osservare e vedere. Le cose e gli oggetti anche più insignificanti se analizzati bene e con attenzione possono prendere altre forme, altri sensi e direzioni, sta a noi intercettarli e trovarli. Questo è il mio modo di esprimermi ed è anche il mio modo di prendere e interpretare la vita dando e cercando un significato anche ad accadimenti che possono sembrare inizialmente insignificanti.

Occorre avere del tempo a disposizione e far sedimentare pensieri e immagini e lavorare con quello che si trova, preferibilmente per caso o con i temi richiesti per le esposizioni a cui mi si da l’occasione di partecipare.

Ci sono dei pezzi di legno, delle radici, brandelli di plastica abbandonata e ferro arrugginito che hanno un sacco di cose da raccontare. A volte occorre una leggera trasformazione per tirare fuori ciò che timidamente traspare, a volte basta ricalcare con un pennarello delle figure nascoste o incidere leggermente i pezzi di scarto. E così delle patate di mare diventano amaretti, dei mulinelli delle telecamere a circuito chiuso, delle pedane bruciate e abbandonate da povere prostitute diventano dei grattacieli colorati. Oppure individuo dei pesci coloratissimi tra fogli di carta appallottolati.

Da spontaneo e naturale osservatore cerco di lanciare un messaggio affrontando i tempi attuali che più mi stanno a cuore e, attraverso il procedimento creativo, cerco di evidenziare e condannare in un modo leggero e ironico ciò che il progresso e i tempi moderni ci costringono a sopportare in una maniera sempre più violenta e irreversibile.

L’ultimo libro letto e l’ultimo film visto. Ho letto con piacere “Marmaglia” dell’amico e cantore Lele Pittoni, persona che sa raccontare e raccontarsi e non si prende mai troppo sul serio, come piace a me. Ho visto alcuni corti filippini dell’Accross Asian Film Festival, interessanti perché la poetica della cultura orientale è sempre fonte di ispirazione e di profondi contenuti.

Non sono gli ultimi film che ho visto ma mi ha colpito molto “Il Sindaco del Rione Sanità”, un film davvero geniale e tecnicamente ben strutturato, adattamento della famosa commedia teatrale di Eduardo De Filippo, e poi “Jocker” che non può non farci riflettere sulla maschera che tutti indossiamo o che ci fanno indossare nel nostro vivere quotidiano.

Quali sono gli aspetti della realtà su cui più ti interessa indagare? Viviamo in una terra speciale in cui la potenza della natura e la sua energia si scontra con le modernità e il progresso inteso nel termine più sgradevole, e vince dopo un’aspra lotta. Mi piace osservare come la terra forgi, adatti e contrasti l’evolversi della nostra umanità. E allora mi rifugio a passeggiare e a osservare, ovunque vada, come questo accade sfruttando ogni singolo angolo e momento per cogliere e trovare forme interessanti, convinto che ovunque ci sia qualcosa da narrare  e chiunque abbia una storia da raccontare.

Parto dalle forme e dagli oggetti che la natura con grande fatica ci regala e da quelli che l’uomo distrattamente abbandona perché privi di utilità ma che invece nascondono ancora grandi valori e contenuti, forse solo nascosti da superficiali etichette, fini e vuoti significati. Cerco il valore delle cose soffermandomi sulla loro essenza scrutando nella loro intimità. Si scoprono così mondi e risorse infinite in cui specchiarsi e storie bellissime come quella accaduta a Natale con il Presepe di Amelia.

A volte per fare questo mi servo di oggetti come due palle di polistirolo che fanno diventare una brutta crepa o un vaso rotto, una preziosa ostrica urbana. “Il bello non sta dove appare ma dove non lo si cercherebbe mai”, come dice il Maestro Delucch.

Mi descrivi l’ ultimo progetto-residenza ad Alghero? All’interno del FestivAlguer, che quest’anno si intitolava “Un mondo, nessuno, Centomila”, ho concentrato l’attenzione sulla nostra isola utilizzando tutto materiale di scarto, soprattutto industriale, per creare una specie di Sardegna in miniatura . Da qui parte l’istallazione “Tutto il Paese è mondo” realizzata nella Torre di San Giovanni di circa 35 mq. , in cui i protagonisti sono esseri umani infinitamente piccoli, quasi da trovare, rispetto alla gravità del momento che violentemente e  severamente vengono allontanati, quasi come migranti, dai luoghi che hanno abitato e devastato per tutto questo tempo.

Un’ isola davvero unica, piena di risorse naturali infinite in cui il paesaggio cangiante e mutevole regala, a chi ha la fortuna di fermarsi e osservare, panorami, emozioni e sensazioni speciali, ma che viene costantemente derubata e con violenza snaturata in nome del progresso e dello sfruttamento più distruttivo. E così si scorgono Ottana, Porto Torres, Portoscuso, Quirra, Sarroch, Carbonia e tutti i luoghi simbolo di questa violenza distruttiva, in un ambiente praticamente desertico dove l’unica speranza è la fuga, ma con una spiraglio di salvezza.

Ecco che sullo sfondo di una città in cenere, completamente distrutta e in cui qualche esile respiro di fumo inquinante si intravede ancora, una serie di figure stilizzate in legno che rappresenta la natura esausta o la nostra coscienza, conduce i pochi piccoli superstiti (minimondi) verso la riva del mare per allontanarli definitivamente. E’ come se la natura severa e in lutto ci portasse lontano dai luoghi a noi cari, colpevoli di averli irreparabilmente rovinati, in un’atmosfera tetra, quasi apocalittica, amplificata da un forte rumore di vento e pioggia che  fa da sottofondo.

 Qual è il tuo sogno nel cassetto? Riuscire a poter avere la possibilità di esprimermi e raccontare la mia creatività in ogni modo, donandola, facendola fluire, incamerando il più possibile esperienze e riuscire a vivere di questo. Nel nostro esistere, a volte, interrompere dolorosamente certi percorsi diventa una grande possibilità che è quella che mi si presenta. Spesso gli avvenimenti negativi e gli incidenti sono una immensa opportunità e un infinito bagaglio di esperienza da custodire e sfruttare profondamente e gelosamente.

Non avere alibi, ostacoli e prigioni però è molto rischioso e molto poco comodo. Credo che naturalmente, come un cuneo le nostre più tipiche attitudini e la parte più intima del nostro essere facciano breccia, travolgano e colorino tutto. E questo è ciò che a me sta capitando. Bisogna darsi retta e ascoltarsi ad ogni costo… Sembra facile, ma… E come dicevano a casa mia: DAJE!

*Foto: Salumeria Volponi, live @NYC  per GreenpointOpenStudios ’19

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