Effetto Farfalla. Emergenza clima e ambiente
“Può
un batter di d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”
Il fisico Edward Lorenz nel 1979 ipotizzò l’Effetto Farfalla sottolineando come
nei sistemi biologici esistano elementi apparentemente insignificanti che
interagendo tra loro sono in grado di intensificarsi innescando processi a
catena e provocando effetti catastrofici. Pertanto una variazione
insignificante come il battito d’ali di una farfalla può determinare uno
stravolgimento e causare un evento devastante. L’Effetto Farfalla si pone come
metafora della Teoria delle Catastrofi, ipotizzata dal matematico francese Renè
Thom nei primi anni Settanta, utilizzando la matematica topologica per spiegare
i fenomeni naturali. Essa consiste nella imprevedibilità dei sistemi complessi,
nella reazione inattesa provocata da un’improvvisa interruzione di continuità
di un determinato fenomeno.
Muovendo da queste premesse trenta
artisti sono stati invitati a riflettere su cause ed effetti dei cambiamenti
climatici - per cui emissioni di gas serra e attività umane sono i responsabili
del riscaldamento globale, secondo il V Rapporto dell’I.P.C.C. - che, se non
gestiti, produrranno conseguenze irreversibili su persone ed ecosistemi. Stiamo
infatti assistendo ad
una serie di trasformazioni radicali della vita sul Pianeta: ghiacciai che
irrimediabilmente si sciolgono provocando l’innalzamento del livello delle
acque che, se non arginato, entro il 2050 sommergerà almeno una volta l’anno
300 milioni di persone che vivono in aree costiere; ondate di calore innaturali
ed eventi meteorologici che a livello europeo, in assenza di soluzioni
immediate, potrebbero provocare circa 200.000 morti all’anno entro la fine del
secolo, secondo un’indagine del Climate Central.
Alla luce di
un ecosistema già gravemente compromesso dalle attività umane e di una enorme
disinformazione in merito, oltre alla presa di coscienza che l’Italia è l’unico
paese senza un piano di adattamento al clima, il progetto Effetto Farfalla si
pone come una riflessione urgente sugli impatti negativi prodotti dai
cambiamenti climatici, sugli eventi catastrofici che avranno ripercussioni
sugli ecosistemi, sulle risorse naturali, sull’economia e sulla salute. Tenendo
presente che i fattori che determinano l’intero sistema climatico sono molteplici
e variabili e che esso procede attraverso complesse interconnessioni, spesso
non lineari, che potrebbero anche amplificare la causa forzante, la scienza è
in grado di identificarli e contrastarli? E ancora, una volta acquisita piena
consapevolezza del problema e avendo ottenuto le conoscenze e gli strumenti
necessari, avremo oramai raggiunto un punto di non ritorno?
È un dittico
che rappresenta lo scioglimento dei ghiacciai, come conseguenza del
surriscaldamento globale che porterà all’estinzione di numerose specie animali,
oltre all’acidificazione dei mari e all’innalzamento delle acque, l’opera di Federico Crisa, motivo di riflessione,
quest’ultimo che ha coinvolto anche Stefano
Cozzolino fautore di un’inquietante onda anomala pronta a sommergere tutto
ciò che troverà nel suo percorso. Anche Davide
Volponi muove dai ghiacciai del Polo Nord per costruire uno scenario
surreale irreparabilmente modificato e snaturato, rappresentato in maniera
ironica quanto drammatica da un iceberg che assume la forma di un ananas e come
tale brandizzato e venduto in bancarella.
E se Monica Lugas s’interroga sull’impatto che può avere l’azione dell’artista sul clima dal momento che utilizza risorse come materiali cavati dalle montagne o tagliati dalle foreste, Ruben Mureddu immagina una famiglia medio-borghese della società occidentale disinteressata davanti a un desolato scenario disboscato, ormai privo di qualsiasi forma di vita. Di kafkiana memoria è l’opera di Paola Corrias che riflette sulla capacità dell’uomo di adattarsi ai cambiamenti climatici, mutando pelle giorno dopo giorno fino a trasformarsi in un sinistro insetto. Stesso discorso per Stefano Bosis che dà vita a figure umane strutturalmente modificate, deformate e amalgamate con lo spazio circostante, poiché l’uomo è parte integrante della natura e in quanto tale subisce le alterazioni dell’ambiente. Concetto non lontano dall’opera di Silvia Mei dove acqua e cielo di color rosso sono il risultato della contaminazione radioattiva, causato dalle basi Nato, che si unisce ai veleni del polo industriale del Sulcis. Sempre in tema di veleni è Gas flaring, uno dei maggiori responsabili delle emissioni di CO2 nell’atmosfera che dà il nome all’opera di Marcello Mantegazza, cane a sei zampe dell’Eni, la cui fiamma, incarnata da formule chimiche, è proprio quella del gas in questione. Anche ad Alberto Marci interessa la metafora del cambiamento condizionato da un fattore esterno che in questo frangente è l’utilizzo del ghiaccio per imprimere un’impronta sulla superficie dell’opera, così come per Roberto Falchi che, facendo suo il concetto di Effetto Farfalla, sostiene come ogni piccola alterazione possa far crollare ogni certezza acquisita.
Metafora
della condizione della futura generazione, l’imponente fotografia di Cristian Castelnuovo è ripresa in una
delle baraccopoli indiane più grandi al mondo dove bambini abbandonati ne setacciano
la discarica alla ricerca di materiali da rivendere per guadagnarsi un misero
pasto. Al surriscaldamento globale si riferisco, invece, Stefano Serusi, con i termometri ambientali che mutano a seconda
della temperatura del contesto in cui si trovano, Raffaele Quida che inserisce carta termica tra le mura di cantieri
abbandonati su cui agenti atmosferici e detriti hanno lasciato un’impronta
visibile solo ad uno sguardo attento. E Michela
Cinus con un progetto di azione partecipata per dimostrare come l’alta
temperatura favorisca la nascita di tartarughe femmine determinando gravi
disequilibri. Mentre Alice Padovani
e Sabrina Oppo, la prima con un favo
e un nido di vespe e la seconda con crisalidi e farfalle, mettono in evidenza
quanto siano importanti i loro apporti per l’umanità pertanto li presentano
come gioielli da preservare ed esibire.
Sono
carotaggi, ovvero porzioni di terra, dei luoghi più inquinati che si accostano
a quelli delle zone più incontaminate a farla da protagonisti nella doppia
opera di Alessandro Lobino che, in
questo frangente, con un lavoro da geologo, contrappone zone estreme della
terra. E per contrapposizione lavora anche Luca
Poerio nel surreale collage che da una parte vede una natura rigogliosa in
posizione di allerta per il suo imminente cambiamento, dall’altra l’effetto del
mutamento sotto lo sguardo indifferente del capitalismo. Stesso discorso per Leonardo Boscani e i suoi poster tratti
da collage su Moleskine, che provengono da riviste anni Cinquanta, riflessione
sulla politica attuale tra complotti, congiure e paure nell’ambito dell’emergenza
ambientale.
La natura di
Antonio Bardino esplode rigogliosa
ma anche caotica e con specie che appartengono a zone equatoriali così come
quella di Marco Pautasso, dai colori
acidi e innaturali, per riprendersi gli spazi che gli sono stati negati
dall’uomo così come avviene nell’installazione di Ermenegildo Atzori che accosta un piccolo leccio ad un teschio
nell’attesa che la scultura venga inglobata e fagocitata.
Termine
gergale utilizzato dai Millennials contro la generazione nata all’epoca del
boom economico, Ok Boomer di Chiara Segnene diventa simbolo dello scontro
generazionale che ha il suo fulcro nell’emergenza climatica e ambientale.
Quella stessa generazione citata da Elisa
Desortes nel suo trittico dove appare palese il ciclo mortale che i rifiuti
compiono a causa del disinteresse diffuso. E se Josephine Sassu restituisce una visione autobiografica ponendosi il
problema di quanto possano nuocere le piccole azioni che compiamo nel
quotidiano, Enrico Robusti riflette
sull’incapacità umana di sfuggire alla propria sorte. Obbligata dal potere,
strumentalizzata e asservita, e soprattutto incravattata al proprio inevitabile
destino.
Si rifanno
al mito le opere di Massimiliano Usai,
con una novella Andromeda abbandonata
su una spiaggia apocalittica in balìa del disastro ambientale, e Andrea Forges Davanzati e Pierluigi Dessì uniti nel nome di Icaro, simbolo dell’autodistruzione a
cui l’umanità sta andando incontro. Stesso concetto preso in esame da Bachis attraverso una pittura
simbolista al limite del surreale che delinea un’umanità chiusa nelle sue
certezze, che si muove in bilico tra equilibri mutevoli, favorendo un destino
infausto, poiché, per citare Hubert Reeves: “L’uomo è la specie più folle:
venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile. Senza rendersi
conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando.”
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