Laboratorio Illustratori: Kiki Skipi
Kiki Skipi è l’alter ego di Chiara Pulselli, nata a Sassari nel 1988 e residente a Bologna da alcuni anni. I suoi sono mondi fantastici e imprevedibili abitati da donne senza volto, con l’obiettivo che lo spettatore, trasponendo il suo, si trasformi in curioso osservatore di se stesso. Il linguaggio sintetico, sinuoso e che contempla una buona dose di ironia non distoglie dall’atmosfera fiabesca, silenziosa e sospesa. Restituita con una straordinaria gamma cromatica, unita all’inclinazione per un’estetica profondamente ludica. Fra introspezione e osservazione della realtà.
Descriviti con tre aggettivi.
Burlona, razionale, curiosa.
Qual è la tua formazione?
Mi sono diplomata con impazienza all’Istituto Magistrale Benedetto Croce di Oristano e, finita l’estate, ho lasciato l’isola per andare a Milano, dove ho frequentato per due anni l’Istituto Italiano di Fotografia. Non sentendomi a mio agio nella frenetica vita milanese e non pienamente soddisfatta della fotografia, sono rientrata in Sardegna e ho iniziato il percorso di studi in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Sassari.
Soddisfatta?
Non cambierei una virgola di questo tragitto, perché tutto è stato fondamentale: il liceo mi ha fatto capire che non avrei proseguito con gli studi tradizionali, ma allo stesso tempo lo ringrazio per avermi trasmesso quel tipo di imprinting. La fotografia ha allenato il mio sguardo: una scorpacciata di immagini con diversissime inquadrature, colore e non, movimento e staticità, imperfezioni nella perfezione e viceversa, e ha dato inevitabilmente il la con l’autoritratto. L’Accademia invece è stata pura sperimentazione, ricerca personale e rifinitura.
Quando e perché hai iniziato a disegnare?
Ho sempre disegnato, mi è sempre piaciuto tantissimo. Ho deciso di riprendere a disegnare da grande perché è un mezzo che mi permette di vedere letteralmente il mio pensiero, il mio mondo, e di crearne altri. È espressione di quello che sono e mi fa stare bene.
Cosa ti interessa di più nella realtà che ti circonda?
Sono una spugna, osservo tutto, se posso fotografo e porto a casa. Mi piace cercare l’armonia delle cose.
Da dove ha origine la tua ricerca e in quale direzione si sta sviluppando?
Non sono mai stata brava a esprimermi a parole, a raccontarmi e a confidarmi con qualcuno, soprattutto durante l’adolescenza, e quindi credo che questo deficit mi abbia portato ad analizzarmi di più e a sperimentare l’autoritratto, che man mano ha perso i tratti somatici, perché in fin dei conti non ero interessata a vedere il mio volto ma le mie diverse sfaccettature, che pian piano si sono trasformate in tante donnine che ormai hanno vita propria. Abitano in mondi fantastici, strani e spesso super colorati, e io le seguo come se fossi Alice che segue il coniglio bianco giù per la sua tana.
La condizione femminile è al centro della tua poetica. Come ci sei arrivata?
Non mi piace tanto parlare di “condizione femminile”. Parlo sicuramente un linguaggio femminile ma non voglio mettere la donna in una condizione, non voglio metterla in paragone a una “condizione maschile” (sempre che questo termine esista). Io metto al centro la figura femminile perché è un mondo che ovviamente mi appartiene e spero che chi guarda i miei lavori ci si butti a capofitto.
Quanto c’è di autobiografico in quello che fai?
Il 60 %, credo… il resto è pura fantasia.
Da alcuni anni ti occupi anche di Street Art: quale ambito ritieni più congeniale?
Mi trovo più a mio agio con il disegno su carta perché ho più controllo, ma lavorare su muri grandi mi sta insegnando ad avere più sicurezza anche sul mio linguaggio e sul mio stile.
Qual è il tuo concetto di bellezza?
Per me la bellezza è l’equilibrio.
A cosa lavori in questo momento e quali sono i progetti futuri?
I miei progetti futuri sono tanti e sono molto simili a quelli di ogni giovane illustratore: vorrei poter lavorare nel mondo dell’illustrazione editoriale, illustrare dei racconti, ma anche pubblicare un mio racconto illustrato. Vorrei crescere come artista e ogni momento è dedicato a questo.
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