Lucian Freud a Venezia



Cresciuto sotto l’inevitabile peso di un cognome troppo celebre che talvolta ha banalmente limitato la sua poetica al disagio psicologico, Lucian Freud è considerato oggi il più grande pittore realista vivente. In fuga da Berlino dopo l’ascesa al potere di Hitler, la famiglia Freud si trasferisce a Londra con Lux appena decenne. Il 1954 segna il suo debutto a fianco di Bacon e Nicholson chiamati a rappresentare la Gran Bretagna alla XXVII Biennale di Venezia dove a distanza di cinquant’anni è celebrato con una mostra antologica. Novantun opere tra oli ed incisioni, tra cui alcune inedite provenienti da collezioni private, ripercorrono la lunga attività dell’artista dagli anni quaranta ad oggi. Nudi e ritratti sono indagati con profonda penetrazione psicologica e l’ossessiva precisione del dettaglio. Con sguardo lucido sull’inesorabile scorrere del tempo, Lucian si muove tra le pieghe opulente della carne ostentando la tormentata consapevolezza dell’esistere. Districa il dramma dell’uomo imprigionato nella gravità del proprio corpo, immerso in algidi ambienti che incarnano la metafora della solitudine esistenziale.



Prendendo le mosse da maestri del passato quali Ingres, Courbet e Velasquez, Freud si rivela, alla fine degli anni quaranta, erede della Neue Sachlichkeit - nonostante parte della critica non condivida - non tanto di Dix o Grosz quanto di Shad, così come emerge dall’opera che apre l’esposizione Girl with rose, e da Girl with a white dog, dove l’artista ritrae Kitty Epstein, figlia di Jacob, che sposò nel 1948. Memore dei grandi maestri fiamminghi - munito di una linea di contorno dettagliata destinata a dissolversi col tempo - concepisce grandi occhi alienati che fungono da specchio in cui riflettersi e perdersi. Nel 1958 il suo cambiamento di rotta non viene ben accolto.




Le pennellate si fanno grossolane e pastose e i cromatismi assumono tonalità livide. L’espressività dei volti, dalla parvenza talvolta grottesca, presagisce un senso d’inquietudine che lo accosta al cruento espressionismo di Gerstl. La morte del padre nel 1970 segna il suo percorso condizionando la visione del mondo esterno ora interpretato in grave stato di decadimento come testimonia Wasteground with house. Subito dopo inizia a prendersi cura di quella madre dall’aria passiva e rassegnata che tentò il suicidio dopo la morte del marito. La ritrarrà per quindici fino al giorno successivo alla sua morte. La straordinaria intensità emotiva dei ritratti emerge già dagli anni cinquanta. Freud incontra Bacon nel 1944. Il suo ritratto rimasto inconcluso per l’improvvisa partenza per Tangeri di Francis assume l’imponenza di una surreale maschera fluttuante nel vuoto. In The Brigadier il generale Parker Bowles si concede una posa stanca e rilassata che non si addice ad un uomo d’arme del quale coglie il lato umano scevro dall’idealizzazione della ritrattistica ufficiale così come avviene per il volto della regina Elisabetta, lontana dalla tradizionale iconografia reale.



Tutti i modelli di Lucian seguono lo scorrere del tempo. La ripetizione di forme, l’impietosa analisi di persone, piante e animali divengono i temi che scandiscono il percorso della mostra. Attratto da pose inusuali che esibiscono genitali con disarmante naturalezza, il pittore sceglie come soggetto prediletto il suo amante Leigh Bowery che poserà per lui fino alla morte per aids. In And the Bridegroom lo ritrae con la moglie adagiato mollemente sul letto come in un grembo materno in uno scenario di forte impatto visivo. Dagli anni novanta la materia pittorica si raggruma ribollente e pulsante incrostandosi ed ispessendosi sulla tela e rendendo più drammatica la disincantata umanità che ferocemente trascina lo spettatore dentro la scena. Se la mostra riesce ad individuare i punti cardine dell’evoluzione di Freud, non altrettanto riesce ad essere un’antologica esaustiva in quanto la scelta delle opere appare troppo scarna e alcune delle incisioni di qualità non eccelsa. Una mostra non abbastanza “celebrativa”, quindi, per un artista del calibro di Lucian Freud, acuto e spietato osservatore di Self-portrait reflection che s’insinua ancora come lama fendente tra orge di carni sfatte e purulente. Silenzioso testimone smarrito nella caducità dell’umano destino.

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