Pulire l’arte per non metterla da parte. Per Maria Lai
Perché il museo a cielo aperto di Maria Lai non vada incontro al degrado, il Sistema Turistico Locale di Ulassai ha promosso la manifestazione “Ripuliamo l’arte”. Dal 6 ottobre, decine di volontari disseminati sul territorio daranno nuova vita alle opere site specific dell’artista scomparsa quest’anno.
Mano a secchi, scope, stracci, pennelli e vernici protettive. Parola d’ordine: Ripuliamo l’arte. A sei mesi dalla scomparsa di Maria Lai, Ulassai, paese d’origine dell’artista, si arma di coraggio rimboccandosi le maniche per dare lustro a un tesoro a cielo aperto ancora parzialmente ignoto: 13 grandi opere site specific realizzate tra il 1982 e il 2009 su gran parte del territorio comunale. La manifestazione, fortemente voluta dal Sistema Turistico Locale – che comprende anche il museo della Fondazione Stazione dell’Arte -, prevede l’intervento di decine di volontari pronti a mettere a lucido tutte le installazioni e a dotarle delle indicazioni necessarie per renderle finalmente fruibili, dal momento che “ogni opera d’arte deve diventare pane da offrire a una mensa comune”.
Da Il Lavatoio – primo degli interventi sul territorio dopo la performance Legarsi alla Montagna -, costruzione diroccata che ha visto il contributo di tre artisti Costantino Nivola, Luigi Veronesi e Guido Strazza che, con le loro fontane, hanno impreziosito il grande Telaio soffitto, per arrivare alle più recenti Fiabe intrecciate, scultura d’acciaio ispirata a una fiaba scritta da Gramsci per il figlio che Maria Lai intreccia concettualmente alla leggenda sarda da cui è scaturita la celebre performance, e La cattura dell’ala del vento.
Tra queste si snodano le altre opere in parte ideate per tamponare il dilagare del cemento armato nel paesaggio naturale a causa di alluvioni e frane: Le capre cucite, teorie di monumentali capre fissate con graffe di ferro che si stagliano sulle pareti a suggerire la tradizionale tessitura sarda; La scarpata, pareti contenitive che accolgono pietre franate con l’intento di dare voce alla memoria delle rocce; La strada del rito dove pani, uccelli e pesci stilizzati di evangelica memoria si susseguono per oltre sette chilometri di muratura. Per concludere con I Muri del groviglio, fili di parole incisi sul cemento ancora fresco. Pensieri e riflessioni sull’arte che partono dal presupposto che il vero problema non sia solo quello di divulgare l’arte bensì di educare l’individuo a interpretarla, non a caso “è necessario che qualcuno ci aiuti nell’incontro con l’opera, per poi ritrovare l’opera da soli”. La riflessione sul ruolo dell’arte è espresso sinteticamente quanto poeticamente anche su una lavagna ricavata da una parete rocciosa che esibisce la frase “l’arte ci prende per mano” e nella serie dei pani in terracotta smaltata allestiti in via Venezia.
Il percorso a cielo aperto prosegue con Il gioco del volo dell’oca, metafora del percorso esistenziale, per un’interazione tra espressività artistica e comunità, sotto forma di uno dei giochi più celebri che inizia così: “Il guscio dell’uovo si rompe da dentro quando il pulcino inizia a bussare, bussa il pulcino che vuole passare dal guscio dell’uovo al guscio del mondo”. E si conclude con la Casa delle Inquietudini, che origina da una fiaba di Salvatore Combosu, dove l’inconscio che genera i mostri – animali primordiali dalle fattezze antropomorfe -, incarna paure e inquietudini dell’intera comunità. Sì, perché Maria Lai è capace di scuotere le coscienze, risvegliare miti atavici assopiti con la poesia del gesto creativo lento e silenzioso, semplice e quotidiano, che affonda le radici nel simbolo ma anche nell’essenza dell’identità e dell’appartenenza. Selvatica come la sua terra ha sempre guardato al mondo con gli occhi di un bambino con l’ansia e la voglia di infinito. In un intimo e continuo colloquio imprescindibile da tutto ciò che è natura poiché “il paesaggio non si pone come luogo da arredare, resta protagonista e l’arte nasce per dargli voce”.
Roberta Vanali
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