S.O.S. Pianeta Terra
Fortuna che ci sono gli eventi collaterali a salvare in extremis una Biennale noiosetta. Uno di questi è “Round the clock”, collettiva di artisti internazionali allestita nello Spazio Tethis. Per una riflessione intorno alla natura.
Fra arte ed equilibri precari della natura si colloca la riflessione di questa collettiva visivamente efficace, dai contenuti stimolanti e quanto mai attuali, che in un gioco di rimandi e alternanze reclama una maggior attenzione nei confronti del pianeta per salvaguardarne la salute, oramai sull’orlo del collasso. Un invito a vivere in modo consapevole, per ritrovare un legame col territorio, recuperare risorse ed energie che garantiscano il futuro del pianeta. Questo l’obiettivo del progetto che nell’esposizione segue un andamento circolare, che riflette l’incessante interazione degli organismi di un ecosistema, mentre l’impiego di materiali poveri, talvolta riciclati, rimanda a una dimensione di estrema semplicità, indispensabile per garantire una maggior e miglior vivibilità.
Muovendosi nella dimensione del sociale, i 15 artisti indagano i problemi delle biodiversità e dell’ecosostenibilità, auspicando la necessità di un ritorno a un’espressività più aderente all’esistenza umana attraverso la rielaborazione di codici per ritrovare l’armonia col mondo e assaporarne ogni percezione, senza mai dare nulla per scontato. Neppure il respiro. Come dimostra David Rickard che, in una performance durata 24 ore consecutive, ha esalato e riversato aria pura e frescaattraverso una maschera respiratoria all’interno di una serie di grossi palloni, ora in bella mostra tra gli altri pezzi esposti.
Si focalizza, invece, intorno al concetto di classificazione e archiviazione della natura l’indagine di Francesco Bocchini, che restituisce una sorta di erbario visionario e fantastico, fiori e piante immaginarie esibite all’interno di teche opache. Un progetto tra natura e artificio dentro il quale si muove anche Eva Jospin, ultimo ingresso nella selezione della curatrice, con le sue foreste di cartone forgiate con una sega elettrica. Sculture povere che proiettano lo spettatore all’interno di prospettive stranianti di un mondo alternativo, tra realtà e finzione. Come quello che Maria Elisabetta Novello (in mostra con una centrata personale alla galleria il Traghetto, sempre a Venezia) crea al di là di grossolani tubi arrugginiti. Immagini sempre diverse che si aprono davanti agli occhi come in un caleidoscopio. Un gioco poetico ed effimero che è anche una riflessione sulla caducità dell’esistenza.
Sempre in natura si trova la spirale logaritmica che Matteo Sanna costruisce attraverso una serie di mangiatoie per uccelli occluse da vetri trasparenti. Mangiatoie ingannevoli come metafora di un’umanità concentrata a soddisfare bisogni e piaceri, a discapito di un equilibrio che diventa emergenza. Si serve della stessa struttura coclide Gianni Moretti, che trova ispirazione nella colonna della vittoria per srotolare su un piano – protetto da una lastra trasparente – sagome dagli abiti gessati. Uomini di potere mutilati che diventano feticci, a significare una casta corrosa e imputridita. Per una denuncia sociale leggibile anche nell’opera di Antonio Riello, che decontestualizza oggetti pericolosi come le armi mimetizzandole con carta da parati dai colori sgargianti. Ingannevoli strumenti solo apparentemente innocui. E perciò maggiormente inquietanti.
Un blog molto carino!
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