La storia del recupero del villaggio Normann a Gonnesa
La storia del recupero e della valorizzazione di un ex villaggio minerario della Sardegna più remota e di tutte le iniziative collegate, grazie all’intervento dei volontari della comunità. Ne abbiamo parlato con gli ideatori che portano avanti il progetto dal 2009: il collettivo Giuseppefraugallery.
Nel profondo sudovest della Sardegna, tra paesaggi impervi dove si inerpicano alture rocciose, si attraversano boschi silenziosi per approdare a meravigliose baie nascoste, si trova l’antica regione del Sulcis-Iglesiente. Rocce millenarie, resti di antiche miniere e paesi fantasma fanno parte di questa estrema punta della Sardegna abitata dal XIV secolo dai Nuragici ai quali si sono integrati i Fenici dal IX secolo fino ad arrivare ai Cartaginesi giunti due secoli dopo, i quali stanziamenti sono riconducibili allo sfruttamento dei giacimenti di piombo, ferro e zinco. Ma il Sulcis rappresenta anche il principale bacino carbonifero d’Italia dal quale sono stati estratti oltre 30 milioni di tonnellate di carbone e impiegati migliaia di minatori. Di quei tempi non troppo lontani di selvaggio sfruttamento rimangono solo relitti industriali: miniere, fonderie e interi villaggi abbandonati. Uno di questi è il villaggio minerario Normann, piccola frazione del comune di Gonnesa al confine con Iglesias, costruito tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX che prende il nome da chi dirigeva la miniera: Edward Normann.
Il Collettivo Giuseppefraugallery risiede nel villaggio dal 2009 portando avanti una serie di iniziative legate all’ambito delle arti visive e dei processi di diffusione e partecipazione della comunità. É del 2019, invece, la costituzione dell’associazione Villaggio Normann O.D.V. da parte degli abitanti per reagire al gravoso stato di degrado. L’associazione dei volontari e delle volontarie del villaggio nasce per contrastare l’abbandono con la cura, intraprendendo da subito una serie di iniziative nell’ambito del volontariato, dell’arte e della cultura, dello sviluppo locale e dell’accoglienza. Lo scopo di sensibilizzare la popolazione e gli enti preposti sulla necessità di tutelare, non è rivolta però a valorizzare e rilanciare solo Normann ma tutti i villaggi minerari della Sardegna, spiega il collettivo costituito da Eleonora Di Marino, Pino Giampà e Riccardo Oi.
Nel corso degli anni si è susseguita una serie di iniziative, inserite in un progetto organico dal titolo “I Custodi del futuro” finanziato dal Comune di Gonnesa, dal Parco Geominerario e dalla Fondazione di Sardegna, tra cui gli interventi più urgenti per evitare i crolli degli edifici più rappresentativi in totale stato di abbandono, l’attivazione del circuito di illuminazione e una vera e propria scuola d’arte contemporanea gratuita a disposizione di tutta la comunità e di chi, esternamente ad essa, abbia interesse a partecipare. L’attività dei volontari e le volontarie dell’Associazione Villaggio Normann è praticamente quotidiana, quindi i progetti e le iniziative sono molteplici e comprendono anche due rassegne periodiche: una primaverile mirata a coinvolgere i giovani, le scuole, le Università e chi vuole conoscere il nostro villaggio ed il suo territorio; una estiva (Estate a Normann) la quale, tra talk, musica, teatro, cinema, arte, letteratura, è diventata un appuntamento molto frequentato e partecipato.
Un altro progetto di rilievo che rispecchia appieno la sinergia dei volontari della comunità prende il nome di “Sentieri della Memoria”, operazione di recupero di quasi 50 km di vecchie sentieri, carreggi e ferrovie abbandonate nel cui territorio il Villaggio Normann è l’epicentro: i percorsi, tutti accuratamente segnalati con una cartellonistica ufficiale, descritti e illustrati in una guida e consultabili nel dettaglio sul nostro sito e quello della rete regionale dei sentieri, sono stati tutti regolarmente accatastati e rappresentano il primo caso di una rete escursionistica interamente progettata e realizzata dal basso, precisa il Collettivo.
L’ultimo progetto di riqualificazione che ha visto la luce proprio di recente è un’opera d’arte collettiva alla quale hanno partecipato tutti gli abitanti, si tratta del Belvedere ideato dal collettivo e progettato dall’architetto e attivista Francesco Careri attraverso una serie di residenze dove ha incontrato la comunità coinvolgendola in una serie di attività. L’opera è stata realizzata in autocostruzione grazie al lavoro dei volontari dell’associazione attraverso un rapporto di sostenibilità tra ambiente naturale e ambiente socio-culturale. Il risultato finale è un’opera d’arte comunitaria capace di restituire al luogo la sua memoria, attuando però un cambiamento di paradigma: artefice di secoli di sfruttamento minerario, l’uomo ha mutato il suo ruolo, riconoscendosi come parte della natura e assumendosi la responsabilità della sua difesa e salvaguardia. Un’opera d’arte collettiva dove tutti gli abitanti del villaggio sono stati artisti e architetti. Un luogo che ospita, accoglie, unisce e si apre verso il cielo e il paesaggio circostante. Un luogo in cui non serve né l’energia elettrica né il WiFi perché sono altre le energie e le connessioni in campo.
Sospeso tra il mare e la montagna, il Belvedere è un’opera composta da due parti distinte, la prima realizzata con blocchi di pietra riprende la seduta circolare delle capanne delle riunioni nuragiche, dette anche curie, riservate alle assemblee con funzioni politiche. Mentre la seconda, situata più vicino al mare, è un monumento dedicato ai cavalli da miniera, costruito con tronchi portati a riva dal mare, per ricordare la triste storia del cavallo Bosano, che trascinava 7 carrelli attraverso cunicoli e gallerie, seppellito in quell’area nel 1957.
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