Quel che resta del sogno
C’era una volta il Sogno. Con oltre 250 opere e 70 manufatti, il Museo Man mette in scena il primo capitolo dello spirito dell’arte aborigena, Dreamtime. Il momento della creazione di tutte le cose. Tra mitologia arcaica, codici millenari e cromatismi sgargianti.
Era il Tempo del Sogno quando gli Antenati creatori scesero sulla terra, territorio arido e desolato avvolto dalle tenebre, per dare forma al mondo e alle creature che lo popolano. Era il Dreamtime. Ovvero il tempo prima del tempo, il momento della creazione per gli aborigeni. Popolo nomade e senza scrittura dalla complessa tradizione mitologica fatta di codici millenari che si fonda sul legame indissolubile tra gli uomini, le forze della natura e gli elementi dell’universo. Una sinergia che venendo meno porterebbe in direzione apocalittica le sue genti. Non a caso dipingere il tuo Territorio, è conoscere il tuo Territorio. Conoscere il tuo Territorio, è conoscere il tuo Dreaming. Conoscere il tuo Dreaming, è dipingere e cantare il tuo Territorio. Un ciclo perpetuo che si riflette nell’arte, nei canti e nelle cerimonie sacre, talmente viscerale che secondo una delle credenze ancestrali quando si cammina sulla terra lo si deve fare con leggerezza perché si cammina sulla madre.
In un allestimento impeccabile, il primo capitolo della mostra traccia una mappa multiculturale dei gruppi tribali aborigeni, poiché ognuno riflette il territorio d’appartenenza per affondare le radici nel comune concetto di dreaming. Così, mentre nelle regioni desertiche i motivi iconografici risalgono all’arte rupestre e alla pittura su legno che mette insieme cerchi concentrici, motivi a ferro di cavallo, orme animali e tutta una serie di codici - ad esempio il rarrk, motivo a tratteggio incrociato adottato da Djambu Barra Barra -, il linguaggio figurativo è da ricercarsi nel resto del territorio. Con un apparato iconografico che va dal Serpente arcobaleno, Antenato degli Antenati, al Devil Devil, la cui prerogativa di rappresentazione è riservata proprio a Barra Barra, ai Mimi, piccoli esseri mitologici protagonisti dell’opera di Lurick Fordham. Mentre è la tradizione orale delle anziane ad interessare Gabriella Possum Nugurrayi che sfodera abilità e minuzia mediante il puntinismo della pittura dot.
Più realistica la visione di Trevor “Turbo” Brown nel raffigurare gli animali tipici della fauna australiana e di Helen Wunungmurra, che in uno stile narrativo, svolto su unico piano, descrive cerimonie e riti di passaggio del clan. Si, perché la pittura aborigena per la sua comprensione implica un sovvertimento prospettico, e non solo in senso metaforico. Infatti, oltre a racchiudere pratica rituale e scrittura simbolica, contempla una raffigurazione simultanea di luoghi, persone e leggende. Ma è anche un focus sull’equilibrio ambientale e sui fenomeni naturali, come nell’opera di Billy Doolan e in quella di Dorothy Club. E se i cerchi concentrici collegati tra loro altro non sono che i percorsi degli Antenati all’epoca del dreamtime, elementi di vitale importanza come pozzi e corsi d’acqua diventano rispettivamente linee ondulate e cerchi. Con la fotografia si colloca in ambito più contemporaneo, la concezione espressiva di Paola Balla, testimone delle devastanti ripercussioni della colonizzazione di una società tribale che, nonostante sostanziali trasformazioni, nei limiti del possibile ha difeso il concetto di dreaming. Che dalla notte dei tempi li consacra a legittimi proprietari, nonché custodi del proprio territorio. Affinché il Sogno non diventi ricordo. (artribune)
mi piacciono molto queste raffigurazioni ricordano il lontano passato ma allo stesso tempo sono immagini molto presenti
RispondiEliminaantonio zucchiatti pittore udine http://www.antoniozucchiatti.it/
Pittore Udine
Tecnica astratta