Mark Lewis

Sedici video, realizzati in cinema scope e trasferiti in dvd per essere proiettati a ciclo continuo, scandiscono il percorso del filmaker Mark Lewis. Prima antologica nazionale che anticipa la partecipazione dell’artista alla Biennale di Venezia…




La comparsa è una figura decisamente sottovalutata nel cinema. Recita Mark Lewis nel suo monologo sollevando la testa in direzione della macchina da presa. Dalla massima apertura di campo, l’inquadratura, allontanandosi progressivamente, concede alle comparse - consapevoli e meno - di divenire protagonisti catturando l’attenzione dello spettatore. Si tratta dell’ormai celebre The Pitch che apre il percorso della prima antologica nazionale dedicata al rappresentante del Canada alla 53. Biennale. Film spartiacque che segna il passaggio ad una metodologia cinematografica coadiuvata da una serie di costanti come la ripresa continua priva di montaggio, la durata standard di circa 4 minuti e la rigorosa mancanza di banda sonora. Quando il film è stato inventato non era muto, era solo film. Non aveva alcun suono. Il sonoro è stato aggiunto in seguito. I primi film erano semplicemente lo scorrere di silenziose fotografie di vita quotidiana, sostiene Lewis che professa un ritorno al cinema delle origini, con un occhio di riguardo alle vedute dei fratelli Lumiere, successivo all’esordio che si apre all’insegna del cinema industriale per approdare, in tempi più recenti, ad una sorta di pittorialismo. Privi di esplicita narrazione, i film di Lewis s’interrogano sugli aspetti “cinematografici” della realtà quotidiana alterata dalle tecnologie nella sua percezione spaziale e temporale.




Proprio dal rapporto ambiguo tra realtà e percezione scaturisce Central, manifesto dell’incomunicabilità dove solo in un secondo momento s’intuisce che il dialogo dei protagonisti - apparentemente uno di fronte all’altra - è frutto del riflesso di uno specchio. Utilizza invece la retroproiezione per montare un effetto di dissociazione tra sfondo e primo piano in Rear Projection e giungere ad una ghost image. North Circular segna, invece, una fase di transizione che si avvia alla fascinazione estetica. Un lento zoom della periferia londinese penetra all’interno di un palazzo fatiscente fino a focalizzare una trottola che gira su un tavolo determinando uno “slittamento ottico” per il passaggio dal piano d’insieme al primo piano.
Raggiunge l’estetica del sublime con September, culmine del pittorialismo, con l’unificazione dello spazio attraverso la dissolvenza delle forme che connotano un’atmosfera inquietante dove luce e oscurità si fondono. E se September non può non ricordare L’Isola dei morti di Bocklin, Early March è la trasposizione video delle conifere di Friedrich. Imponenti cime di pini che salgono ad occupare progressivamente l’inquadratura e stagliarsi su un fondale che si rivela innevato soltanto alla fine del cortometraggio.




E ancora segue una donna delle pulizie che si sposta avanti e indietro in un interno alla Hopper, in Smithfield. Primo film di Lewis con la macchina da presa in costante movimento e che improvvisamente si ribalta in Harper Road creando disorientamento così come in Cheapside dove è puntata direttamente al suolo per catturare le ombre in movimento dei passanti. Una mostra importante e coraggiosa, quella del Man che celebra Mark Lewis, sperimentatore e decostruttore del linguaggio cinematografico, ossessionato dall’analisi del dettaglio attraverso insoliti movimenti della macchina da presa. Che gioca ad incuriosire e spiazzare nel decifrare l’ambiguità e l’alienazione dell‘esistenza.




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