Cruel Fairy Tales


Le fiabe, nella loro ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, sono una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, scrive Italo Calvino. Traendo spunto dalle radici antropologiche della leggenda e del racconto popolare, come tradizioni orali che narrano timori e credenze, permettendo la divulgazione di messaggi universali, la fiaba, ovvero l'eterna vicenda umana, si rivela strumento congeniale alla comprensione dell'esistenza. In particolare alla decodificazione di quei lati oscuri che in essa si celano, per la tendenza a portare in superficie conflitti latenti, così come avviene nella complessa attività onirica. Attraverso un linguaggio metaforico estremamente semplificato, caratterizzato da stilemi comuni e motivi ricorrenti, al di là d'ogni dimensione spazio-temporale, la fiaba si configura molto più vicina alla realtà di quanto possiamo immaginare. Nonostante si adegui alla mentalità infantile e per essa sia imprescindibile, come sostiene Bettelheim, nasce per gli adulti - tramite i riti iniziatici (1) - offrendo soluzioni nelle difficoltà dell'esistenza, talvolta esorcizzando incubi o edulcorando conflitti. Le fiabe sono vere perché costituiscono una spiegazione generale della vita – ribadirebbe l'autore delle Fiabe Italiane – non perché descrivano la realtà bensì per la predisposizione a tradurre inquietudini e drammi attraverso un percorso narrativo che si ripete in tempi e luoghi diversi. Totalmente immerse in dimensioni trasfigurate, tra incantesimi, streghe malvagie, boschi incantati e animali fantastici, hanno la capacità di educare nonché intrattenere da secoli adulti e bambini. Storie archetipiche, in bilico tra realtà e finzione, essenze di saggezza universale di tutti i tempi e culture, si concretizzano, nel loro insieme, come un articolato percorso di vita con tutte le difficoltà a cui l’umanità è andata incontro dalla notte dei tempi, motivo per cui la fiaba è astrazione derivante da una leggenda locale che si è condensata e ha assunto una forma cristallizzata, così da poter essere tramandata e ricordata perché riguardi tutti. (2)Da questi presupposti scaturisce Cruel Fairy Tales con l’obiettivo di evidenziare come gli aspetti oscuri dell’esistenza siano intrinseci alla cultura e all’immaginario collettivo della fiaba e della leggenda e dimostrare al contempo quanto queste metafore della storia dell’umanità siano ancora attuali – nonostante l’epoca di consumismo mediatico più sfrenato - e come si rivelino particolarmente adeguate a scandagliare quegli aspetti più o meno occulti della natura umana, attraverso simbologie spesso crudeli. La stessa crudeltà delle storie di tutti i giorni, tra piccole e grandi tragedie del nostro tempo. Delle quali si fanno interpreti i sei artisti invitati. Provenienti da background differenti ma accomunati da un fare pittorico con la stessa esigenza di attingere dai linguaggi della cultura di massa, dal cinema alla pubblicità (Gavino Ganau e Pietro Sedda), dal mondo dei cartoon al fumetto (Silvia Argiolas, Pastorello e Giuliano Sale), dalla grafica all’illustrazione (Alessio Onnis) - nelle loro varianti stilistiche e nei molteplici innesti culturali – rientrano in quella corrente che nell’ultimo decennio è emersa dalla stratificazioni di immagini della cultura urbana sotto l’etichetta di neo pop. Pittura diretta, di forte impatto visivo, che si affranca da briglie concettuali e appartenenze elitarie affrontando tematiche attuali in modo comprensibile ai più e per questo efficace a tradurre la nostra conflittuale epoca, proprio attraverso quel fantastico strumento analitico che è la fiaba, dimensione magica pregna di significati profondi dove tutto è da scoprire ed interpretare, il luogo di tutte le ipotesi, la chiave per entrare nella realtà per strade nuove e per conoscere il mondo. (G. Rodari)




(1) Nell’opera Morfologia della fiaba, Vladimir Propp sostiene l’ipotesi che la fiaba abbia avuto origine dai riti iniziatici delle società tribali.
(2) M. L. Von Franz, Le fiabe interpretate, Ed. Bollati Boringhieri, Torino, 1980.





Silvia Argiolas – Le petit chaperon rouge




E passando per un bosco s'imbatté in quella buona lana del Lupo, il quale avrebbe avuto una gran voglia di mangiarsela; ma poi non ebbe il coraggio di farlo, a motivo di certi taglialegna che erano lì nella foresta. Egli le domandò dove andava. La povera bambina, che non sapeva quanto sia pericoloso fermarsi per dar retta al Lupo, gli disse: "Vo a vedere la mia nonna e a portarle una stiacciata, con questo vasetto di burro, che le manda la mamma mia". (C. Perrault - Cappuccetto rosso)


Prende in esame la versione originale di Perrault - più sinistra sul finale e con evidenti riferimenti sessuali -, Silvia Argiolas con l'adolescente tutt'altro che tenera ad incarnare una Cappuccetto rosso d'ispirazione manga. Un'incantevole e "innocente" ragazzina inghiottita da un lupo è un'immagine che s'imprime in modo indelebile nella mente, sottolineerebbe Bettelheim, specie se questa è rappresentata con sguardo lucido e agghiacciante nella sua fissità, ad indossare la pelle del lupo sacrificato, per sovvertire la versione successiva ritenuta d'impronta maschilista. Ma anche a rimarcare quanto paure e fobie siano radicate nella coscienza umana così come sono abbarbicati gli enormi insetti sulla ragazzina.
Silvia Argiolas affonda la lama nel degrado della società postmoderna con una baby lolita nel suo viaggio iniziatico verso l'età adulta - in questo frangente associato alla prostituzione, come simboleggia la mantellina rossa nella tradizione francese del XVII secolo – servendosi di cromatismi memori del preraffaellismo e della sottile crudeltà dei cartoni del Sol levante per giungere ad esiti non lontani dal pop surrealismo.


Gavino Ganau – Lost and found




La vista di Biancaneve la sconvolse, ella odiava la bimba. E invidia e superbia crebbero come le male erbe così che non ebbe più pace né giorno né notte. Allora chiamò un cacciatore e disse: porta la bambina nel bosco, non la voglio più vedere. Uccidila e mostrami i polmoni e il fegato come prova della sua morte. (Biancaneve - Jacob e Wilhem Grimm)


Si affida al primo lungometraggio che implica la fiaba, Gavino Ganau giocando col fermo immagine per restituire inquadrature di un’icona dei cartoon disneyani: Biancaneve, simbolicamente legata al mito di morte e rinascita della natura. Impostati rigorosamente sui toni del bianco e nero, l'artista congela tre fotogrammi che assumono una connotazione particolarmente algida, paradossalmente lontani da quelli che sono i classici toni fiabeschi. Flashback impostati sull'equilibrio degli obliqui che vedono al centro la regina, metafora d'intolleranza e violenza radicate in una società dominata da rigide convenzioni, contrapporsi alla figlioletta bianca come la neve, rossa come il sangue e dai capelli neri rappresenta la rinascita di una coscienza congelata, come definita da Jung.
Benché Gavino Ganau circoscriva tre momenti emblematici della fiaba per restituire uno degli episodi più drammatici - attraverso la decostruzione dell’immagine e l’ironia del titolo che ne anticipa l’epilogo - questi appaiono svuotati dal pathos originario assumendo, nel loro complesso, una valenza antinarrativa. In un contesto disincantato dove i personaggi si riducono a mere icone di se stessi.


Alessio Onnis – Carmilla




Si faceva chiamare Carmilla?" Chiese il Generale ancora sconvolto. "Ah!", esclamò. "E' proprio Millarca. Ed è la stessa persona, che, molto tempo fa. Si chiamava Mircalla, Contessa di Karnstein. Allontanatevi da questo luogo maledetto, mia povera ragazza, più in fretta che potete. Andate a rifugiarvi nella casa del sacerdote e restate lì fino al nostro ritorno. Andate! Possiate non rivedere più Carmilla." (Carmilla - J. Sheridan Le Fanu)

Ispirata alla sanguinaria contessa Erzsebeth Bathory che fece uccidere 600 vergini per lavarsi nel loro sangue e giungere alla giovinezza eterna, Carmilla – in una dimensione tra vampirismo e reincarnazione - è proposito d'indagine per Alessio Onnis che trae spunto da Giuseppe Biasi per il suo impianto compositivo. Tra tradizione e nuova figurazione di ascendenza pop, l'artista immagina una dark lady dal terrifico sguardo, in languida posa da inquadratura fotografica che s'impone al centro della rappresentazione. Raffinati preziosismi delle vesti e dei gioielli, vergati con minuzia cesellatrice, si contrappongono allo sfondo decorato a tinte piatte dove è la farfalla a fare da protagonista, simbolo di bellezza e morte.
Al razionalismo scientifico l’artista coniuga un colto immaginario pittorico, che sconfina in parte nel simbolismo alchemico - come dettato dalla predella che ostenta simboli geometrici e i nomi a caratteri gotici della protagonista - per indagare con lucida analisi l’incapacità dell’uomo di accettare l’inesorabile scorrere del tempo.


Pastorello – Pierino e il lupo



Dalla casa uscì il nonno arrabbiato perché Pierino era andato fuori dal cortile. "Questo posto è molto pericoloso! Cosa fai se un lupo viene fuori dal bosco?" Pierino rispose che ormai era grande e non aveva paura del lupo. Il nonno lo prese per mano portandolo in casa e chiuse a chiave la porta. Il nonno aveva proprio ragione. Non fecero in tempo ad entrare in casa che un grosso lupo grigio uscì dalla foresta. (Sergei Prokofiev - Pierino e il lupo)


Protagonista di un fare pittorico mai scontato che muove da un classicismo d'impronta quattrocentesca per approdare ad esiti memori del tubismo legeriano, con razionale contemplazione estetica, ma al di là da aulici concettualismi, Pastorello distribuisce su quattro pannelli i personaggi di Pierino e il lupo. Composta da Prokofiev per accostare i bambini alla musica, la fiaba assume nell'interpretazione dell'artista una connotazione ambigua con Pierino immortalato accanto al lupo come un super eroe dallo sguardo ipnotico, non dissimile e non meno minaccioso di quello del feroce compagno. Così come il canarino, l'anatra e il gatto che trasfigurati nella loro rappresentazione si stagliano come in un teatrino in attesa di qualcuno o qualcosa che non arriverà mai.
Al tratto veloce e gestuale Pastorello alterna una bidimensionalità calcolata ad accentuare un emblematico esempio di apparente nonsense, per scoprire ad uno sguardo più attento che il sovvertimento della fiaba altro non è che l’ennesima dimostrazione che nulla è ciò che appare.


Giuliano Sale – H + E



Arrivati in mezzo al bosco disse il padre: - Adesso raccogliete legna, bambini; voglio accendere un fuoco perché non geliate -. Hansel e Gretel raccolsero rami secchi e ne fecero un bel mucchietto. I rami furono accesi e quando si levò alta la fiamma, la donna disse: - Adesso mettetevi accanto al fuoco bambini, e riposatevi, noi andiamo a spaccar legna nel bosco. Quando abbiamo finito torniamo a prendervi. (Hansel e Gretel - Jacob e Wilhelm Grimm)

Lucido interprete della visionarietà dei fratelli Grimm, Giuliano Sale mette in scena l'ambientazione gotica di una notte senza luna, al limite dell'horror. Tra alberi spettrali che solcano il cielo plumbeo, Hansel e Gretel, stretti nei loro goffi camici dai colletti bianchi, hanno lo sguardo perso, allucinato. Blocca l'attimo della presa di coscienza del raccapricciante senso di abbandono e dell'impossibilità di far ritorno a casa, Giuliano Sale che indaga la controversa condizione infantile, nella fattispecie l'abuso e la violenza sui minori. Con l'obiettivo di svelare un mondo adulto fatto di "orchi" silenti che minacciano l'infanzia.
La forte caratterizzazione dei volti e delle mani, la frontalità e la calcolata armonia della rappresentazione sono congeniali a rafforzare la connotazione patetica a cui propendono i due fratellini - in un ambito attiguo al pop surrealismo che si fonde alla carnalità dei corpi rinascimentali e alla spiccata vena onirica -, e a rimarcare l’inclinazione grottesca efficace a sviscerare i mostri dell’immaginario collettivo, per una feroce critica nei confronti di una società borderline.


Pietro Sedda – Sacroiliaca



Arrivano a una palma e, appesa tra le foglie, c'è una zucca piena di vino di cocco. "E' proprio quello che ci vuole, con questo caldo! Grida Sci-sci e si arrampica sulla palma. "Ma non è roba tua!" Protesta Kama inorridito. "Il vino fresco è di chi ha sete", dice Sci-sci, che si beve il vino e getta la zucca vuota a Kama. (Alberto Ribè - Le mani nere della scimmia)


Per Pietro Sedda, che ha fatto dell'ambiguità e del mascheramento il suo baluardo, la fiaba africana di Alberto Ribè appare adeguata a delineare i parametri della sua ricerca ultima. D'impronta palesemente caravaggesca - sia per il riferimento alla natura morta, sia per le valenze luministiche, Sacroiliaca è la chiave di volta dell'edificio umano, così come ama definirla ironicamente l'artista, in quanto "articolazione" che permette all’uomo di mantenere il proprio equilibrio. Nella sua calcolata ambivalenza, l’opera è un invito a trovare nella natura l’equilibrio, essenza stessa dell’esistenza, ma al contempo si configura come presagio funesto di quanto essa repentinamente possa divenire maligna e infierire sull’uomo, scimmia di darwiniana memoria. Come tradotto dall’atmosfera oscura e fuori dal tempo dalla quale emerge inerme la scimmia, simbolo della condizione umana, ridotta a figura immobile e sommessa. Un’apparizione pietosa dell’animale che da carnefice, oramai, si è trasformato in vittima.


(Testo catalogo della mostra Cruel Fairy Tales presentata al Museo Man di Nuoro)



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