Venezia celebra Emilio Vedova

Da anni, Vedova va raccogliendo eventi ed indizi, sapendo che, quando si cammina sul filo del rasoio un istante di minor tensione basta a rovinare tutto. La sua pittura s’inoltra nella dimensione del terrore, dove le grandi idee dell’umanità diventano lampi di luce e vortici di tenebra.” Quella energica e violenta tensione gestuale e narrativa -così ben focalizzata da Argan- che si muove sul bilico degli opposti tra luce e ombra, segno e spazio, astrazione e forma, ha permeato l’intero percorso di Emilio Vedova (Venezia, 1919 - 2006). L’artista che dipingeva l’anima della sua malinconica città e che si è profuso per mantenerla al centro del dibattito internazionale. Che ha influenzato generazioni di studenti dell’Accademia di Belle Arti e che rispecchia i conflitti e le inquietudini dell’artista contemporaneo è ora ricordato, dalla città lagunare, attraverso due importanti mostre: Omaggio a Vedova, allestita al Padiglione Venezia –a carattere di memoria, in attesa delle retrospettive che si terranno rispettivamente a Roma (ottobre 2007) e a Berlino (2008)- e la personale, concordata prima della sua scomparsa, all’isola di Sant’Erasmo. Location immersa in un’atmosfera sospesa e silenziosa dove si erge la restaurata Torre Massimiliana, ottocentesca fortificazione austriaca, che ospita un’accurata e ben allestita selezione d’opere, alcune delle quali ancora inedite, appartenenti ai suoi celebri cicli.


Dai Plurimi/Binari ai Frammenti/Schegge, dagli Arbitri ai Cosiddetti Carnevali. Introducono l’esposizione al piano terreno due grandi lastre in zinco incise, dove è facile leggere l’influenza del disegno settecentesco veneziano e la drammaticità inquietudine delle incisioni di Piranesi, seguite da cinque Arbitri (1977/1979), tecniche miste e fotocollage su carta e cartone. Da Tortura ad Assoluto, gli Arbitri sono frammenti spettrali, intrisi di dolore, evidenziati dai volti straziati e deformi che emergono dall’oscurità più profonda. Il pescatore, collage a colori del ‘46, precede invece la sala dove un montaggio video abbraccia l’arco temporale tra il ‘53 e il 2004 e approfondisce il proficuo sodalizio con Luigi Nono che tra le altre cose portò alla messa in opera di Intolleranza ’60 e Prometeo. Era la fine degli anni Cinquanta quando Vedova avvia una nuova ricerca pittorica che lo induce ad abbandonare la superficie del quadro e limitare il colore ai grigi, bianchi e neri per approdare ai Plurimi/Binari, sei dei quali inediti, provenienti dal ciclo Lacerazione ‘77-’78, sono allestiti nelle sale del primo piano. Dall’esigenza di oltrepassare la forma nascono superfici polimateriche articolate ed estensibili attraverso binari. Alfabeti postmoderni apparentemente derivanti dall’action painting sono invece orientati verso l’espressionismo astratto di Franz Kline ma non escludono la derivazione dinamico-futurista, data dalle strutture tridimensionali che permettono alla pittura di fuoriuscire dallo spazio precostituito ed invadere l’ambiente. “Aperture di mondi spirituali metafisici nei vecchi trittici attraverso cerniere che si snodano in multiple alternative muovono un mondo di scontro in questo correre-scorrere da complesse traversate stratificazioni”, si legge dagli appunti dell’artista.


Su ritagli di legno asimmetrici si stagliano anonime maschere e materiali di scarto a concretizzare l’essenza veneziana e al contempo riflettere la condizione esistenziale della società contemporanea. Sono gli assemblaggi dadaisti, i Cosiddetti Carnevali dove il nero s’ispessisce per scarnificare violentemente il bianco. Come apparizioni stranianti si presentano invece i fotogrammi che compongono i Frammenti/Schegge e introducono Il grande Tondo (Golfo, Mappa di Guerra), del 1991. L’opera appartiene alla serie di installazioni realizzate durante la guerra del Golfo, work in progress dove l’artista ha continuato a trasformare e correggere stratificazioni di materia che inglobano frammenti cartacei e fil di ferro aggrovigliati sullo sfondo di un’intensa poesia visiva. L’ambivalenza, il senso di contraddizione e conflitto sono alla base della poetica di questo grande artista visceralmente veneziano ma anche estremamente aperto al nuovo ed alla sperimentazione, incapace di placare ribellione e protesta ma non di evocare la poesia della sua città. Raccogliendone i detriti, evidenziandone la nebbia, gli specchi d’acqua e gli spazi infiniti. “Relitti della laguna affiorano in tutte le sue opere, non solo in quelle dove proprio pezzi di corda, legni di barca, stracci di vela sono materialmente presenti”, scrive Cacciari nella presentazione in catalogo, “è densa acqua della laguna anche il suo colore, nei momenti di più dolorosa malinconia.” (roberta vanali - exibart - pubblicato sullo speciale Biennale n.41)

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