Erwin Olaf a Madrid


Il corpo come luogo della trasgressione, come esplorazione e conoscenza. Il corpo come pretesto per svelare un universo torbido e perverso, in una combinazione tra eccessi glamour e kitsch. Sono le immagini di Erwin Olaf (Hilversum, 1959) dove tutto ambisce ad una visione artificiale della realtà. Icone da set cinematografico, immortalate con una purezza esasperata che ne rivela ogni piccolo dettaglio, i protagonisti sono immersi in atmosfere surreali e calati in atteggiamenti inquietanti e controversi, tra cliché pubblicitari e citazioni cinematografiche. Ad accogliere lo spettatore nella piccola sala d’ingresso è la videoinstallazione Rouge: quattro fotografie di grande formato ed un video dove ha abbandonato la natura statica delle riprese per sperimentare contemporaneamente il movimento di soggetto e camera, come suggerisce il titolo della mostra. Giovani efebici, mascherati al limite del fetish, indossano corsetti lucidi, lustrini e tacchi a spillo vertiginosi ostentando posture imponenti -tra statuaria classica e stereotipi mediali- per esibire un pallone da calcio. Al contrario la protagonista femminile con posa ammiccante, candido baby doll e acconciatura similanni settanta, quasi lo nasconde. Il video si svolge in un ambiente irreale, straniante, connaturato da un rosso vibrante, drammatico, dove una partita simulata agli eccessi esplode in ritmo frenetico, seguita dai movimenti rapidi della macchina da presa. Per culminare in un’improvvisa cascata di sangue ad inondare la donna, metafora sull’ambiguità e sull’abuso ossessivo del gioco che sfocia nella violenza più sfrenata. Se in Rouge è palese la citazione ad Arancia meccanica, in Rain non può sfuggire il riferimento al Fascino discreto della borghesia. Riuniti attorno ad una tavola imbandita, in ambiente claustrofobico, congelato dal tempo, dove l’unica presenza sembra essere la pioggia che s’infrange sui vetri, i commensali, rigorosamente silenziosi, attendono un pasto che non consumeranno mai. Alla feroce satira di una classe sociale e dei suoi riti succede il secondo video della trascorsa produzione, Separation: qui l’artista affonda il coltello nella piaga dell’incomunicabilità e dell’isolamento. Nella saletta attigua Annoyed, una sperimentazione magistralmente riuscita che nasce da tre proiezioni simultanee.




Una su ogni lato racconta distintamente le diverse reazioni di tre personaggi infastiditi dal caos e dalla musica che provengono dal vicino d’appartamento. Un rude uomo tatuato impugna una scopa, mentre un’anziana signora prende in mano la cornetta del telefono e una giovane donna si avvicina alla porta del vicino molesto nell’atto di bussare. All’improvviso tutto tace. La musica s’interrompe e il silenzio incombe. I protagonisti si bloccano contemporaneamente nel loro gesto e proseguono quella vita della quale nulla si rivela a noi, tra immagini patinate ed intense saturazioni cromatiche. E’ ancora lo scorrere dell’acqua a fare da protagonista nell’ultimo video intitolato Wet. In un’atmosfera carica di tensione ed erotismo, una matura signora con gesti lenti arriva a sfiorare il corpo scultoreo di un giovane sotto la doccia. Ma tra il respiro di lei e lo scosciare dell’acqua la mano si arresta all’improvviso. Non lo toccherà mai. Erwin Olaf s’insinua nei meandri dell’ambiguità, sorprendendo ma non svelando fino in fondo, sviscerando dimensioni estranee alla realtà ma al contempo ancora riconoscibili. Un universo di visioni che atterrisce e attrae nella sua esasperazione, diversità e follia. (R.V. - pubblicato su Exibart)

Commenti

I più popolari