Eterotopie

Traendo spunto dal saggio di Michel Foucault “Spazi altri. I luoghi delle eterotopie” sono stati selezionati sei artisti - distribuiti in due cabine per un confronto tra generazioni - per riflettere sul tema dell’Eterotopia. La nuova accezione attribuita al termine dal filosofo è quella di “spazio altro” o “altro luogo” in quanto un luogo reale, definito dalla stessa società, è al contempo rappresentato e sovvertito nell’esigenza di istituire una realtà spazio-temporale a se stante, dotata di regole ben precise, che abbia la peculiarità di deviare dal quotidiano. Già parte delle società primitive, le Eterotopie rappresentavano i luoghi destinati a vecchi, malati, partorienti e ai riti iniziatici, nella società moderna questi spazi sono sostituiti, da carceri, ospedali, manicomi, conventi, musei, biblioteche, cimiteri, cinema, teatri ecc. Ma nessuna Eterotopia ha carattere universale in quanto assume diversi significati ed essendo in definitiva una sorta di luogo fuori ogni luogo, per quanto localizzabile, i mezzi di trasporto, Internet, ma anche gli specchi, i luoghi di confine e le frontiere rientrano in quelli che sono definiti da Foucault “spazi altri”.Nel progetto per Sardegna Arte Fiera il concetto di Eterotopia assume una doppia valenza in quanto lo stabilimento balneare, avendo già un valore eterotopico, è stato ulteriormente sovvertito dall’intervento degli artisti che, interagendo tra loro nella trasfigurazione dell’ambiente (cabine), hanno dato vita ad uno spazio altro.
La sensazione che si avverte entrando nella cabina numero 7 è quella di straniamento. Le enormi tele realizzate da Stefano Cozzolino, Simone Dulcis ed Elisabetta Falqui tappezzano quasi completamente l’ambiente che volutamente assume la parvenza di uno spazio contenitore d’idee, di codici che si confrontano e si manifestano come spazi individuali ma che al contempo riflettono una percezione dello spazio che frattura i confini spingendo l’individuo a trascendere la realtà. Complessivamente la cabina rappresenta l’eterogeneità dell’eterotopia in grado di giustapporre in uno spazio reale diversi spazi di per se incompatibili, come teorizzato da Foucault.
L’opera di Simone Dulcis affonda le radici nelle società primitive, in arcaiche rappresentazioni delle eterotopie denominate di crisi evocando un processo di stratificazione del vissuto incarnato da quest’opera-libro che costituisce la summa della riflessione pittorica dell’artista. L’alfabeto segnico subisce incessanti mutazioni. Appunti, schizzi, pensieri si giustappongono, svaniscono e riaffiorano dalla tela individuando presenze e determinando allo stesso tempo assenze. L’astrazione narrativa dell’opera di Elisabetta Falqui prende le mosse dall’antica grafica giapponese che, attraverso la rappresentazione di esplosioni ed implosioni, ha la peculiarità di trascinare lo spettatore in un luogo fuori dall’ordinario per proiettarlo tra i conflitti del mondo reale. Stefano Cozzolino attinge dalla natura gli elementi primordiali che imprime con forza tra accensioni cromatiche e primitivismo del segno. Calata in uno spazio senza tempo, l’opera dell’artista si trasfigura divenendo spazio calpestabile del non luogo.
È il rapporto uomo-donna a fare da protagonista nella cabina numero 8, allestita da Maria Grazia Oppo, Primo Pantoli e Angelo Liberati, uno spazio altro che nasce dal disagio della quotidianità e dall’artificiosità che la società impone alle relazioni umane, uno spazio in cui si accumulano mutazioni del corpo umano e dello spazio circostante ma anche dove la figura femminile risulta essere inquietante oggetto di consumo. Elemento unificante tra la pittura pop dal gusto erotico di Angelo Liberati, l’installazione di materiali di recupero di Maria Grazia Oppo e la scultura espressionista di Primo Pantoli, è lo specchio che si colloca una posizione intermedia tra utopia ed eterotopia in quanto assolutamente reale perché connesso con lo spazio reale è al tempo stesso delocalizzante per l’incessante riflettere di uno spazio illusorio. (Roberta Vanali)

Commenti

I più popolari