Riti di Passaggio



Alla fine del XIX secolo, la scoperta dell’art negre, coadiuvata del neonato Musee dell’Homme di Parigi, si rivela determinante a quel rivoluzionario processo che condusse alla nascita delle avanguardie artistiche. Tutto ciò che all’epoca era definito "primitivo", ossia che concorreva alla distruzione della regola rinascimentale a favore di una visione incontaminata della realtà - al di là di pregiudizi e discriminazioni - rappresentava un modello dove attingere quello stato di purezza che permettesse il superamento di canoni e convenzioni di un’arte ufficiale retorica e passatista.
Prescindendo da significati religiosi e simbolici, gli artisti dell’avanguardia parigina intuirono presto le straordinarie potenzialità plastiche della scultura africana e oceanica. Non a caso Picasso - in possesso di una documentata collezione di centinaia di pezzi - quando per la prima volta ne vide un esemplare, non poté fare a meno di osservare che fosse più bella della Venere di Milo. Da quel momento l’artista inizierà a studiarne incessantemente le forme alla scoperta di una condizione primordiale, scevra da dettami scientifici, per rompere violentemente con la tradizione europea. E’ il 1907. Nasce Les demoiselles d’Avignon. La regola classica è distrutta.
Se i cubisti, scossi dall’assoluta purezza formale e dalla sintesi volumetrica che conferisce all’oggetto immediatezza e forza espressiva, accoglieranno una lezione strettamente formale altrettanto non è possibile sostenere per gli espressionisti in quanto la statuaria tribale ha un significato più profondo che non si ferma all’analisi ma che da essa muove per esprimere quel sentimento tragico dell’esistenza che ne caratterizza la poetica. Il ritorno alle "origini" assume una connotazione differente per ogni singolo artista, oltre che per le diversi correnti avanguardiste: Matisse e De Vlamick ne ammirano la bellezza plastica, Brancusi l’essenza della forma primaria, Lipchitz l’estrema semplicità geometrica, per Modigliani e Giacometti, oltre alla scultura africana, sono intrinseche influenze etrusche o italiche mentre per Klee è la sintesi lineare ad essere prontamente accolta.

Nel terzo millennio per Simone Dulcis l’arte africana è evocazione. Celebrazione della forza spirituale di una terra, di un’espressività immediata che confluisce nella plastica lignea antropomorfa, unità inscindibile che racchiude religiosità, realtà sociale e linguaggio estetico. Da una codificazione segnica di matrice arcaica, al confine tra spiritualità tribale e realtà metropolitana, il bitume affiora come magma ribollente laddove la necessità di conferire concretezza induce ad una notevole resa plastica, talvolta attraverso sinuosità inaspettate. Alternata da elementi geometrizzanti, nel tentativo di fissare un confine per poterlo oltrepassare, la scarificazione materica si palesa ad evocare simbologie ancestrali, codici graffiati sulla superficie, evocatori di memorie stratificate e pulsioni dell’anima. Spiritchasers rappresenta il tentativo d’integrazione tra la scultura lignea africana e l’opera dell’artista, che da essa attinge. In un itinerario fatto di riti di passaggio scanditi attraverso il linguaggio simbolico dei cromatismi. Viaggio iniziatico, ricerca dell’io indiviso. Telete e katharsis per mettere in luce il profondo senso del sacro. (Roberta Vanali)



Recensione della mostra su Exibart


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