Enrico Baj. Dodici miliardi per il 2030

E’ grazie alla neonata Fondazione Logudoro Meilogu, insediatasi a Banari nelle sale di una costruzione civile del XIII secolo, che sarà possibile ammirare parte della produzione ultima di Enrico Baj; l’artista milanese affronta temi apocalittici incentrati sull’inarrestabile crescita della popolazione mondiale e sulle conseguenze che l’umanità dovrà subire dopo gli abusi a discapito della natura. Realizzata ad acrilico con interpolazioni di collages, l’opera è costituita da 30 pannelli, ognuno dei quali è stato concepito come un’opera a sé stante, ma che, riuniti a formare un’unica superficie, ricostruiscono un imponente puzzle. I personaggi che popolano l’universo visionario di Baj sono ammassati e compressi all’interno di ogni pannello, ritratti immobili e inerti, inconsapevoli della catastrofe alla quale sono destinati. Come in una sorta di horror vacui, un brulichio di corpi avvinghiati, deturpati dalla superficialità delle cose e geneticamente modificati, sono travolti da vortici che presagiscono i tormenti degli inferi e si pongono in antitesi alla falsa quiete che imprigiona ognuna delle creature.
Le immagini nella loro apparente casualità stabiliscono legami indissolubili tra loro, gli abitanti di questo pianeta degenerato hanno in comune l’imminente fine. palese la polemica contro lo scempio tecnologico, tematica cara all’artista, di stampo filosofico più che morale, e che riprenderà nelle altre tre grandi serie, realizzate tra il 1989 e il 1990, i cui titoli sottolineano, appunto, l’irrefrenabile incremento demografico: Sette miliardi per il Duemila, Nove miliardi per il Duemilaventi, Quindici miliardi per il Duemilacinquanta. L’assemblaggio di diversi materiali, quali falsi gioielli, passamanerie e insegne militari, sono i caratteri che contraddistinguono i quattro cicli pittorici, accompagnati dal vigore della pennellata e dai cromatismi contrastanti dati per colori puri, il tutto per dare inizio al grande “teatrino dei mutanti”.

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