Le armonie interiori di Mark Tobey
In mostra a Napoli l’automatismo grafico di uno dei più grandi esponenti dell’Action Painting newyorkese. Il più celebre rappresentante della pittura segnica: Mark Tobey.
Proviene dalla sede milanese della galleria, il corpus di opere di Mark Tobey (Centerville 1890, Basilea 1976) in mostra a Napoli grazie alla collaborazione del gallerista Andrea Ingenito con l’archivio Hachmeister e alcune collezioni private nazionali e internazionali. Quindici opere realizzate tra gli anni Cinquanta e Sessanta individuano le peculiarità delle rappresentazioni calligrafiche in punta di pennello dell’artista. Quelle celebri white writing risultato dell’integrazione tra la cultura occidentale e quella orientale poichè Tobey non appartiene a quella schiera di esponenti della scuola di New York legati a gestualità, vigore e matericità proprie dell’Espressionismo Astratto, ma è a favore di una pittura come atto contemplativo scaturita da una continua sperimentazione strettamente connessa alle filosofie orientali fondate sulla ricerca di un equilibrio ideale mediante una profonda pratica di meditazione.
Attratto dalle dottrine mistiche, l’artista nel 1918 si converte al Bahaismo, visita più volte Cina e Giappone e dal 1922, stabilitosi a Seattle, inizia ad interessarsi alla pittura e alla calligrafia cinese, pratiche che ne condizioneranno l’intera produzione. In armonia con i principi Zen procede per piccoli segni reiterati a ricoprire l’intera superficie del supporto, che esso sia carta o tela, ai quali sovrappone intricate trame ritmiche e pulsanti, trasposizioni delle città notturne americane svelando la predilezione per la linea, rappresentata dall’Oriente, in contrapposizione alla massa, equivalente all’Occidente. Raggiunsi quello che chiamo l’impulso calligrafico che ha arricchito il mio lavoro spingendolo verso nuove dimensioni, a mezzo delle quali potei creare l’intrico e la confusione delle grandi città, l’intrecciarsi delle luci e i fiumi di gente afferrata nelle maglie della sua rete.
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