La saga dei falsi idoli nuragici.

 

L’eclatante truffa perpetrata ai danni di Carlo Alberto di Savoia in Sardegna. Un’operazione di falsificazione abilmente svolta dal 1819 al 1883, sullo sfondo del Museo Regio di Cagliari, che ha visto come protagonista una nutrita schiera di falsi bronzetti nuragici.

Era il 1840 quando, il re di Sardegna, Carlo Alberto di Savoia acquisiva, per i musei di Cagliari e Torino e in parte per il suo Gabinetto privato, 330 statuette bronzee, ritenute al tempo sardo-fenice, da parte dell’archeologo Gaetano Cara, all’epoca direttore del Museo Regio di Cagliari, per una cifra che ad oggi corrisponderebbe a oltre 400.000 euro, ma che si riveleranno dei clamorosi falsi. Stiamo parlando della più eclatante truffa di falsificazione di fine Ottocento, iniziata nel 1819, quando compaiono i primi due falsi, e proseguita per quasi settant’anni. Uno dei più discussi gialli archeologici del XIX secolo, al quale non si viene ancora a capo e soprattutto non si comprende come, illustri accademici europei tra i quali Edward Gerhard, Ernest Renan e Charles Le Normant, che elaborarono innumerevoli e complesse teorie, siano stati beffati così a lungo davanti a reperti che nulla hanno a che vedere con i bronzetti originali ma che si profilano come una creazione a sé stante di un universo inesistente.


Gaetano Cara, con Efisio Luigi Tocco e il canonico Giovanni Spano (iniziatore dell’archeologia in Sardegna), condusse le più importanti campagne di scavo nell’isola, finanziate da Carlo Alberto che in passato prese parte anch’esso a diversi scavi, tra cui quella relativa alla scoperta di una necropoli a Tharros, da cui Cara trasse migliaia di reperti che vendette al British Museum, al Louvre e ad un’asta di Christie’s, lucrando e privando la sua terra di importanti testimonianze. Ma Tocco e Spano non denunciarono le frodi prima del 1849, ossia quando il primo ambiva alla carica di Commissario delle Antichità – mirando all’analisi degli idoli che riteneva creati con una percentuale maggiore di zinco rispetto agli originali -, e il secondo a scalzare Cara dalla direzione museale per far posto a Vincenzo Crespi suo giovane allievo. Da ciò si evince facilmente una compromissione dei due nelle losche faccende di Cara - che proseguì la truffa probabilmente avviata dal primo direttore del Museo Leonardo De Prunner -, presumibilmente con l’apporto di Alberto Lamarmora, strettamente legato a Cara da profonda amicizia, a cui si deve la diffusione dei disegni dei falsi idoli in tutta Europa attraverso il celebre “Voyage en Sardaigne”, oltre a una sicura attestazione di garanzia. Cara reagì alle accuse, soprattutto a quelle infuocate dello Spano, pubblicando diversi articoli tra cui una dettagliata relazione sugli idoli sardo-fenici. “Ma io son certo che voi, senza ricorrere a vere invenzioni non potrete giammai provare che gli idoli sardo-fenici non siano genuini. Voi maltrattate la scienza, per vero spirito di vendette personali e non v’accorgete che tutto il danno, infine, ridonderà unicamente sopra voi stesso. Sarebbe ormai tempo che, tenuto conto della vostra qualità di sacerdote, deste pubblicamente un buon esempio, purgandovi benino la coscienza.”


I falsi bronzi rimasero in esposizione nelle vetrine del Museo Regio fino al 1883 quando Ettore Pais, successore di Cara alla direzione, nel compilare l’inventario del Regio Museo relegò le turpi statuette nei magazzini all’interno della cassa n. 6194 con la dicitura “Cassa di legno contenente numero duecentosessantaquattro turpi statuette di ottone di bassa lega rappresentanti divinità mostruose. Essi idoletti sono falsi”. A detta dello stesso Pais, i falsi furono realizzati dal maestro ferraio Raimondo Mongia, residente nello stesso palazzo dove era ubicato all’epoca il Museo, ma si capì ben presto che il povero diavolo fosse all’oscuro dell’operazione. L’attenzione si spostò, allora, sul Caporale di Artiglieria Giuseppe Ullu, nonché maestro di bronzo dell’Arsenale dove operavano maestranze coperte da segreto militare. Ma chi erano le menti raffinate di questa truffa? Quali abili artisti, con la complicità di esperti archeologi, poterono partorire con continuità e coerenza questa enorme operazione di falsificazione?

All’Accademico dei Lincei Giovanni Lilliu, il più grande archeologo che la Sardegna abbia avuto, si deve il ruolo fondamentale della loro riscoperta iniziata nel 1974 con la pubblicazione su L’unione Sarda del saggio in sei puntate Un giallo del secolo XIX in Sardegna. Gli idoli sardi-fenici. Lo studio proseguì sino al 1998 con l’obiettivo, non solo di una ricostruzione dell’intricata vicenda ma, nell’ottica di sfruttare il falso per comprendere il vero, si è servito degli idoli come strumento intuitivo per individuare eventuali peculiarità degli originali.


Gli ingegnosi falsari, con un dettagliato progetto, diedero vita a diverse categorie di idoli suddivisi in antropomorfi, zoomorfi e antropozoomorfi. Presunte divinità pagane con riferimenti in parte a culture orientali ma soprattutto di derivazione medievale riscontrabile in quelli dall’aspetto demoniaco e grottesco. I mostruosi idoli, talvolta a tre teste, irti di punte, sono provvisti di corna - talvolta cervine -, e coda. Hanno gambe lunghe, filiformi e divaricate e sono armati di forconi a due o tre rebbi, di lance e di mazze ferrate, palle chiodate e asce bipenni. Tra figure virili, barbute ed ermafroditi, dotate di occhi a bulbo, uno o due seni e di ombelico, alcune si compongono in originali gruppi statuari, altre rappresentano un unicum, come quelle inserite all’interno di strutture a forme di staffa e quella disposta nell’asse centrale di un cerchio con braccia e gambe divaricate alla maniera dell’Uomo vitruviano di Leonardo. Nati dalla manipolazione di un immaginario comune che affonda le radici nel primitivismo isolano, i falsi idoli non sono il risultato di una banale imitazione ma rappresentano un’abile reinvenzione che confluisce nella creazione di originali esemplari che rientrano nell’alveo delle avanguardie artistiche europee contraddistinte dall’interesse per il primitivismo, come già intuito da Giovanni Lilliu e confermato dallo storico dell’arte Giorgio Pellegrini, che attribuisce una condivisibile natura surrealista ante litteram: “l’immaginario colto dei bronzi viene tradotto in forme che trovano precise rispondenze nella fase surrealista di Picasso e in grandi figure del surrealismo tedesco come Max Ernst”.


 Con l’obiettivo di una rilettura e la necessità di analizzarli sotto una diversa lente, attraverso uno scenario che non sia quello di una frode scientifica, e restituire loro il giusto valore, i falsi idoli sono stati esposti ad iniziare dal 1998 all’Antiquarium Arborense di Oristano per poi ritornare venti anni dopo, con una doppia mostra che ha coinvolto i Musei Reali di Torino, e approdare quest’anno al Museo Man di Nuoro dov’è in corso la mostra Il regno segreto. Sardegna-Piemonte: una visione postcoloniale. Esposizione che documenta i rapporti tra Sardegna e Piemonte dal 1720, quando l’isola diventa sabauda, fino al 1960 attraverso l’opera di artisti e intellettuali attivi tra le due regioni. Dopo l’ultima mostra le opere sono rimaste a Oristano in attesa che l’Amministrazione Comunale discuta della possibilità di collocarle stabilmente nelle sale del Museo Arborense, lo tesso che custodisce un altro clamoroso falso, quello delle Carte d’Arborea, coevo a quello degli idoli bugiardi. Ma questa è un’altra lunga storia.

(Roberta Vanali per Artribune)



Bibliografia essenziale.

L. Marroccu (a cura di), Le Carte d’Arborea. Falsi e falsari della Sardegna del XIX secolo, AM&D Edizioni, Cagliari 1997.

R. Copez (a cura di), Giovanni Lilliu. L’archeologo e i falsi bronzetti, AM&D Edizioni, Cagliari 1998.

R. Zucca (a cura di), Vita di un direttore di Museo scritta da lui medesimo, All’Insegna del Giglio Edizioni, Firenze 2018.

G. Pantò, R. Zucca (a cura di), Carlo Alberto archeologo in Sardegna. Gli Idoli Bugiardi, All’Insegna del Giglio Edizioni, Firenze 2020.

 

 


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