Que Viva Mexico di Giovanni Coda

 

I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma è ciò che siamo.” (F. Pessoa)

Prende spunto dal film-documentario incompiuto di Sergej Eisenstein “Que viva Mexico”, girato nel 1931 per celebrare la rivoluzione messicana del 1911, il reportage fotografico di Giovanni Coda, risultato di un viaggio tra Città del Messico e Oaxaca. Il suo è il diario di un viaggio intimo sospeso tra l’esigenza di conoscere un nuovo mondo e quella di riscoprire se stesso. Ma è anche un viaggio nei meandri di un processo fotografico che si compie scatto dopo scatto gettando un ponte tra visibile e invisibile. Non a caso Tarkowsky dichiara: “In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l’uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la sua anima che sta cercando. Per questo l’uomo deve poter viaggiare.”



È la processione della Via Crucis a Città del Messico ad introdurre il reportage, una delle osservanze più importanti e spettacolari della città, eredità del colonialismo che rientra nelle celebrazioni della Settimana Santa e che trasforma il contesto in un set cinematografico all’aperto con centinaia di attori, che ricostruiscono l’atmosfera dell’epoca di Cristo, come l’adolescente esausto in costume azzurro e corona di fiori e spine immortalato in un momento di pausa. Mentre un’esile e addolorata Vergine, vestita a lutto e col capo incorniciato da un nimbo stellato, si muove tra i devoti dai visi ruvidi bruciati dal sole, tra venditori ambulanti che affollano le vie, mendicanti e artisti di strada. Tra essi una venditrice di bambole in pezza si ripara con quel che resta di un misero ombrello.



Riesce a bloccare istanti dalla potente forza narrativa, frammenti dai colori saturi intrisi di pura poesia e spiritualità, Giovanni Coda la stessa che insegue in questo viaggio dell’anima e che culmina nelle immagini della casa-museo di Frida Kalo: la Casa Azul, dove l’artista nacque e morì e che custodisce il famoso letto a baldacchino munito di specchio. Il luogo più intimo dell’artista di cui Coda subisce grande fascinazione poiché teatro di inaudite sofferenze ma anche dell’irrefrenabile creatività di Frida, senza trascurare il suo studio, collegato a quello di Diego Rivera attraverso un ponte. Il ponte della costrizione ma anche dell’amore, tra dimensione privata ed enfasi documentaristica.



Il viaggio prosegue con alcune immagini contemplative e marcatamente espressive della casa che Trotski abitò dopo essere stato ospite di Frida e Diego: una modesta branda e un libro tenuto aperto da una lente di ingrandimento. Per concludersi con la solenne imponenza delle rovine del sito archeologico precolombiano di Mitla, nella valle di Oaxaca, che Coda edulcora nel restituire le decorazioni a mosaico per mettere in risalto il colore rosso alla base del Palazzo dei vivi e dei morti, divenendo così metafora del confine tra le stanze delle celebrazioni e quelle interrate più oscure dove si svolgevano sanguinari sacrifici umani. Così si chiude questo viaggio in Messico, terra di frontiera e contraddizioni, selvaggia e colma di bellezza nonché custode di civiltà perdute e misteriose che, a detta di Pino Cacucci in Polvere del Messico, è “uno di quei luoghi dove si comincia a capire qualcosa solo quando si rinuncia a capire.”




Commenti

I più popolari