Peacekeeping / Caterina Lai



“Finché ci saranno gli uomini, ci saranno le guerre”
Albert Einstein

Definito come l’insieme di operazioni create ad hoc per ogni singola situazione condotte da forze armate, sotto il controllo dell’ONU, con l’obiettivo di mantenere la pace e ricostruire il tessuto sociale in aere di crisi, il peacekeeping si rivela un’esperienza altamente fallimentare. Spesso in grado di complicare ulteriormente la realtà a causa di costi elevatissimi, di gravi danni alle truppe e di conseguenze devastanti come il traffico di esseri umani e l’aumento della prostituzione, soprattutto infantile. Quando non si tratta di imposizione della pace con l’uso della forza. Assimilabile a vere operazioni belliche, il peacekeeping si configura pertanto come una guerra alla guerra. Da questo paradosso muove il progetto di Caterina Lai che si interroga sul (non)senso dei conflitti bellici. “La presa di coscienza del “non senso” della guerra credo che passi attraverso l’esame delle guerre stesse e non in una debole e sovente noiosa perorazione attorno alla pace”. (Walter Fochesato)


E’ Potente e altamente evocativa la materia plasmata dalle mani sapienti di Caterina Lai. Ha l’odore della sua terra, quella terra madre sacra ma al contempo matrigna, capace di generare tanta bellezza quanto dolore. Quella terra che tanto le ha dato e tanto più le ha negato. C’è tutta la sua infanzia e l’impeto di una natura primordiale, nei bassorilievi in bucchero, archetipi di terra e di fuoco, che affondano le radici nell’antica tradizione ceramica dorgalese, iniziata da Ciriaco Piras e proseguita dal padre Simeone insieme al celebre zio Salvatore Fancello. Sembrano scolpiti nell’ossidiana, per l’effetto lucido dai riflessi metallici che si alternano a superfici opache. Graffiati con vigore raccontano di antiche fiabe, di filastrocche e di proverbi rigorosamente in limba. Quando non affiorano parvenze di paesaggi in perpetuo movimento, come campi di grano agitati dal vento, cieli solcati da nubi di passaggio e mari in tempesta.



Prescinde dal colore Caterina Lai, e da virtuosismi decorativi, per mettere in luce gli effetti contrastanti della materia, l’ambivalenza di questi frammenti della memoria dove confluisce tutta l’indagine sperimentale concessa dall’impiego di materiali poveri, dove il gesto diventa segno e il segno alfabeto da decifrare. Nel tentativo di un site specific rigorosamente in bianco e nero, contraddistinto da una connotazione selvatica della rappresentazione, l’artista alterna terraglia bianca al bucchero e il graffito a scampoli di stoffa, nell’installazione totale concepita a partire dallo spazio circostante, dal momento che, per parafrasare Arnaldo Pomodoro: “la scultura, quando trasforma il luogo in cui è posta, ha veramente una valenza testimoniale del proprio tempo, riesce ad improntare di sé un contesto, per arricchirlo di ulteriori stratificazioni della memoria.  

Testo di presentazione della mostra personale di Caterina Lai Peacekeeping

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