Giovanni Coda Exposition
Era il 1989 quando chiesi ad un’amica di prestarmi la sua nuovissima videocamera Philips Vhsc per fare degli esperimenti video usando come base il testo di un racconto che avevo appesa scritto: “Rimane la paura del dopo”. Quegli esperimenti diedero vita alla mia prima videoinstallazione teatrale dal titolo “Ne Varietur” che si tenne al Teatro dell’Arco.
Fotografo, scrittore, videoartista e filmaker cagliaritano, Giovanni Coda, classe 1964, ha all’attivo 47 opere video, numerose serie fotografiche e progetti installativi esposti in Italia e all’estero. Vanta collaborazioni con artisti, musicisti e scrittori e il suo primo lungometraggio “Il Rosa Nudo” è stato presentato alla 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica a Venezia come Evento Speciale. Tra documentario e videoarte, l’opera cinematografica è il primo atto di una trilogia sulla violenza di genere che ricostruisce gli orrori nazisti nei confronti degli omosessuali, seguita da “Bullied to Death” - lavoro di denuncia sociale che affronta una tematica forte come quella del bullismo omofobico, nello specifico il cyber-bullismo, reato ancora oggetto di studio e non previsto dalla legge -, lungometraggio pluripremiato in tutto il mondo. Chiude la trilogia, basata esclusivamente su fatti reali, “La sposa nel vento”, dedicato al femminicidio che verrà proiettato in anteprima nel corso della mostra, un’antologica dedicata ai venticinque anni di carriera che intende ripercorrere la sua attività di filmmaker e fotografo mettendo in relazione i due aspetti fondamentali.
Sperimentatore indipendente, la cui cifra stilistica è riconoscibile a prima vista e difficilmente inquadrabile in una qualsivoglia tendenza, Giovanni Coda coniuga cinema, fotografia e arti performative, con molteplici riferimenti che vanno da Greenaway a Pasolini, da Pina Baush a Bill Viola e da Lachapelle a Erwin Olaf, con la costante di una voce narrante fuori campo che, come in diario, documenta senza filtri la tematica in esame. Sensoriali e metaforiche, le sue opere sono caratterizzate da contrapposizioni stilistico-espressive tra il racconto di matrice documentaristica e quella parte più visionaria e talvolta patinata che suscita immancabilmente emozioni spiazzanti. Il tutto senza l’utilizzo di un copione e solo alcune tracce di sceneggiatura.
A partire dal 1995, la grande attitudine alla narrazione ha consentito al regista di intensificare la produzione fotografica dove ha lasciato confluire diversi linguaggi espressivi come musica, scenotecnica, grafica, regia, coreografia e danza. Nascono progetti fotografici di stampo pittorico come “Bete Noire”, preludio de Il rosa nudo, “Passage Poectronique”, installazione dedicata a Oscar Manesi e Gianni Toti, e “Mexicana”, reportage su Città del Messico sulle tracce di Frida Kahlo e Tina Modotti, improntanti sulla riflessione della devastazione del corpo come involucro dell’esistenza e sulla caducità della vita, concetti che ripetono costantemente nel corso della sua carriera e come ben sottolinea in occasione di “Big Talk”, lungometraggio dedicato a Oscar Manesi scomparso durante le riprese del film: l’incertezza regna sovrana ed il presente svanisce scandito dall’orologio che ne determina l’inesorabile fine senza per questo darci alcuna rassicurazione.
Testo di presentazione della mostra antologica di Jo Coda, a cura di Roberta Vanali e Efisio Carbone
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