Intervista a Fabio Saiu

Tra sarcasmo e provocazione, Fabio Saiu (Alghero, 1971. Vive e lavora ad Alghero) restituisce una visione di una realtà drammatica e a tratti incongruente dove è la figura umana, ambigua e inquietante, a fare da protagonista. In uno spazio dilatato da cromatismi accesi e contrastanti, di matrice neo-espressionista, sovrappone velature di colore alternate a campiture dense e materiche – attraversate da funi tese – dove compaiono imprevisti e stranianti particolari geometrici che a prima vista non sembrano appartenere alla realtà. 


Qual è la tua formazione e gli artisti a cui fai riferimento?
Ho sempre ammirato la dinamicità di Francis Bacon, la gestualità di Jean-Michel Basquiat e il romanticismo di Peter Doig.

Quando hai capito che la pittura sarebbe stata il tuo medium espressivo?
Da quando ho incominciato a studiare in Accademia di Belle Arti a Sassari. Vedendo molta attenzione nei miei confronti da parte dei colleghi e dei docenti, ho capito che era la mia strada. Un esempio: Pinuccio Sciola vide i miei lavori in accademia nel 1992, mi volle subito conoscere e organizzammo la mia prima personale ad Alghero, da lui curata.

La figura umana è il tema ricorrente delle tue opere, da cosa origina questa esigenza?
L’uomo è l’artefice di tutto, del bene e del male, e quindi mi piace esplorare nei vari contesti pittorici la sua presenza, mettendola a nudo, esaltandola ma anche ridicolizzandola.

Quali sono i concetti che sviluppi fondamentalmente attraverso la pittura?
Nell’iconografia pittorica mi piace giocare tra l’ironia e la drammaticità in un mondo quasi paradossale.

Parlaci della tua personale attualmente in corso a Napoli
E’ il frutto di un’amicizia che dura da ben 14 anni. Conobbi Antonio Rossi (il mio gallerista) alla fiera d’arte di Torino, nel lontano 2000. Gli mostrai le foto dei miei lavori e lui dimostrò subito interesse. In questi anni siamo cresciuti artisticamente tutti e due, la personale a Napoli è il risultato di anni di scontri e di intese tra noi.

Sei uno dei pochi artisti sardi che è riuscito ad affermarsi senza spostarsi dall’isola, ci sveli il tuo segreto?
Il segreto è essere informati tramite riviste specializzate, viaggi nelle varie fiere e mostre nel mondo per avere almeno un’infarinatura sulla pittura contemporanea. Bisogna essere tenaci, credere in quello che si fa, e abituarsi alle sconfitte per temprare il carattere e le ambizioni che si raggiungono. Fondamentale è mostrare il tuo lavoro a chi ha una sensibilità simile alla tua. Preferivo non uscire il sabato notte, conservare i soldi e andare a vedere una fiera d’arte per stimolare la mia ricerca. Il gallerista intelligente guarda il tuo lavoro, non dove lavori. Il mondo per fortuna si è globalizzato. Insomma le vie del Signore sono tante.

Quanto c’è della tua terra in quello che realizzi?
Tantissimo. I colori soprattutto, le velature nei miei quadri sono frutto delle trasparenze che osservo nel mare, poi interviene il mio mondo che appartiene all’inconscio. La pittura ha tempi lunghi e ad Alghero la vita é molto lenta, quindi congeniale per la mia ricerca.

Il disegno va di pari passo con la pittura oppure ne è indipendente?
Penso che il disegno sia lo specchio dell’anima, non può mentire. Va di pari passo con la pittura.

Hai una galleria d’appartenenza?
La Galleria Studio Legale a Napoli.

Qual è stato l’evento determinante per il tuo percorso?
Quando vidi nel 2000 i lavori di Daniel Richter alla fiera di Bologna. Il mio soggiorno a New York nel 2006 e l’antologica di Peter Doig nel 2009 a Francoforte. Queste tre cose mi hanno fatto capire che la direzione che percorrevo era quella giusta.

Faresti accenno ai tuoi gusti musicali e cinematografici?
La musica mi piace un po’ tutta, dal jazz al pop. Il cinema mi annoia, a parte qualche eccezione.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Le fiere d’arte contemporanea, ma non so ancora quali.

Vuoi aggiungere qualcosa?
Credeteci sempre, ma con molta umiltà e non siate mai invidiosi dei vostri colleghi.

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