Dici rivoluzione e dici arte





Il percorso delle avanguardie russe, ovvero quando l’arte era al servizio della rivoluzione. Dal Neoprimitivismo al Costruttivismo in 70 opere, perlopiù pittoriche. In una mostra che delude le aspettative, allestita nel nuovo spazio espositivo dell’Ara Pacis. Fino al 2 settembre.



Breve ma particolarmente intenso, si potrebbe definire il percorso dell’avanguardia russa, o meglio delle avanguardie poiché si parla di differenti tendenze riunite in gruppi, legate indissolubilmente, com’è noto, al movimento rivoluzionario. A iniziare da una prima cultura estetica vincolata dalla tradizione con radici tardobizantine della quale si fanno protagonisti Natalia Goncharova e Mikhail Larionov. Un ritorno al primitivismo che fa da spartiacque al Raggismo e al Cubofuturismo con Kazimir Malevich - il pittore che amava le icone - magistrale e singolare interprete. E’ l’epoca del Fante di Quadri (1910), seguito l’anno successivo dalla Coda d’Asino, movimenti che si rifanno all’avanguardia francese mentre guardano al Futurismo. Ma sono anche gli anni della divisione dell’atomo che Kandinskij interpreta come disgregazione dell’universo passando dai paesaggi fiabeschi all’Astrattismo. Seguito, tra gli altri, dalla Rozanova e dalla Popova, mentre Chagall rivendica la sua totale indipendenza alle avanguardie. Nonostante ciò l’artista compare in mostra.




Allestita nei nuovi spazi espositivi dell’Ara Pacis - che lasciano alquanto a desiderare per illuminazione e disposizione talvolta dispersiva altre soffocante dei pannelli multicolori -, la mostra non rispetta un percorso cronologico ma è suddivisa per movimenti. 70 opere avrebbero l’ambizioso obiettivo di ricostruire il complesso e multiforme percorso delle Avanguardie Russe. Dal Neo Primitivismo al Costruttivismo con alcuni autori misconosciuti e altri grandi assenti come ad esempio Lissitzkij. Un assaggio, il minimo indispensabile, potremmo dire, a comprendere come si sia svolta, a grandi linee, quell’arte messa al servizio della rivoluzione che, tra Mosca e San Pietroburgo, ha coinvolto tutti i possibili linguaggi estetici dell’epoca.




Nel 1915 dal Cubofuturismo - il cui manifesto è da ricercarsi nel celebre Arrotino di Malevich che non compare in mostra - nasce il Suprematismo (rappresentato da due sole Composizioni e un Quadrato), realtà cosmica priva di oggetti raggiungibile attraverso la forma assoluta che non sia semplice raffigurazione geometrica bensì intima essenza della pittura, che conduce l’artista verso un deserto dove nulla è riconoscibile, eccetto la sensibilità. Fulcro dell’innovazione estetica russa nasce in contemporanea al Costruttivismo di Tatlin e Rodchenko, movimento proiettato verso una funzione progettuale e operativa dell’arte attraverso il linguaggio schematico della tecnologia industriale. Il cui emblema, di cui rimangono diversi modelli in scala, è il Monumento alla III Internazionale. Torre meccanica dai complessi congegni (relegata insieme ad altri modellini in un inaspettato e stretto corridoio) per la quale i dadaisti berlinesi inneggiarono: l’arte è morta. Viva la nuova arte meccanica di Tatlin. Arte che non avrà lunga vita, infatti nel 1935, con la morte di Tatlin, le avanguardie giungono al termine per essere rimpiazzate dal retorico e totalitario Realismo socialista.

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