Lenci, l'industria del ludico
La produzione degli anni d’oro a confronto con quella a soggetto sardo. Dalle donne in costume a quelle all’ultima moda, dagli animali selvatici ai bambini leziosi fino alle madonne multicolori, il tutto in raffinata ceramica invetriata. E’ la Lenci a fare da protagonista tra arte e industria. Fino al 3 giugno.
Status symbol della borghesia dell’epoca in alternativa alle forme sintetiche e squadrate del Decò, la ceramica Lenci nasce nel 1927 per essere affiancata alle celebri bambole in pannolenci ideate da Enrico Scavini e dalla consorte Helen Konig che nel 1919 ne depositano il marchio a Torino. Acronimo di Ludus Est Nobis Constanter Industria, ovvero “il gioco per noi è continua attività”, la ceramica Lenci origina da un’attenta sperimentazione attraverso il colaggio a stampo, con interventi di decorazione manuale e l’impiego di terraglie e smalti di altissima qualità, accompagnato da una costante ricerca di perfezione del minimo particolare nella messa in opera dei modelli. Ammiccanti donnine alla moda tratte dall’immaginario cinematografico, madonne dai manti multicolori, bambini leziosi e modelli smorfiosi e ancora vasellame, scene familiari e damine - tutte dalle raffinate campiture cromatiche che emergono dalla trasparenza dell’invetriatura -, risentono fortemente dell’influenza mitteleuropea per i modelli iconografici ma non per la ricercatezza tecnica e la qualità pittorica.
Ad artisti come Pietro Spertini, Mario Sturani, Sandro Vacchetti e Gigi Chessa si affiancano i sardi Edina Altara, Eugenio Tavolara, Alessandro Mola e Valerio Pisano i cui manufatti vengono distribuiti dall’azienda Cau e dalla Galleria Palladino di Cagliari. E proprio da quest’ultima risalgono le immagini pubblicate dalla rivista Domus nel 1932 che vedono pochi pezzi di tendenza scelti e illuminati sapientemente al contrario all’orror vacui imperante del negozio Cau che puntava invece a soggetti della tradizione isolana.
Distribuite in un allestimento soffocante che spesso non ne permette la visione a tutto tondo, sono un centinaio le ceramiche in mostra provenienti perlopiù da collezioni private e che in Sardegna si concentrano su tre tematiche: quella devozionale che annovera un gran numero di madonne; quella regionale con i pezzi più folkloristici ideati dagli artisti sardi e quella nazionale. Produzione, quest’ultima, dalla quale provengono alcuni pezzi degli anni d’oro (1928-1937) come il Don Chisciotte di Giovanni Grande, la Scodella di Mario Sturani, Liu-Tu e Nella di Helen Konig, Amore paterno di Sandro Vacchetti, per concludere con la Genovese di Abele Jacopi. Dopo il 1937, nonostante il grande successo, i costi di produzione eccessivi conducono l’azienda sulla soglia del fallimento ma la produzione non si arresta grazie all’esportazione negli Stati Uniti fino al 1997 quando il marchio viene ceduto a Bambole Italiane srl che dichiara fallimento nel 2002. Le ultime ceramiche finirono all’asta e anche stavolta fu un vero trionfo.
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