Il rivoluzionario della Serenissima
Sperimentazione e rapidità di esecuzione unite alla singolarità del gusto teatrale, delle luci artificiali e delle prospettive azzardate sono le peculiarità del suo codice espressivo. Parliamo del versatile e rivoluzionario pittore della Serenissima la cui presenza è stata anticipata dalla tanto discussa esposizione all’ultima Biennale: il Tintoretto. A Roma fino al 10 giugno.
E’ nella Venezia potente e cosmopolita del XVI, crocevia di popoli e lingue, che Jacopo Robusti detto il Tintoretto a diciotto anni inizia la sua carriera pittorica. Competitivo e ambizioso, geniale e anticonformista con l’obiettivo di raggiungere la fama a qualunque costo, nel 1547 riceve la prima importante commissione: il Miracolo dello schiavo. Monumentale telero che, insieme al ritratto giovanile, apre il percorso della prima grande monografia in Italia dedicata a Tintoretto dopo quasi ottant’anni.
Opera che anticipa gli aspetti fondamentali della sua ricerca espressiva, ovvero il gusto teatrale della composizione, affollata e monumentale, soluzioni prospettiche dai tagli cinematografici con fughe azzardate e personaggi contemporanei, che tanto scandalo ha suscitato all’epoca ma che allo stesso tempo l’ha visto imporsi come il più talentuoso della sua generazione. Il più terribile cervello che abbia mai avuto la pittura, a detta del Vasari, mentre Longhi lo descrive di natura geniale, grande inventore di favole drammatiche da svolgersi entro coreografie di luci ed ombre vibranti, uno spettacolo continuo. E di fiaba è l’atmosfera che si respira nel San Giorgio uccide il drago, tumultuoso racconto dal ritmo incalzante e dagli scorci arditi immerso in un turrito paesaggio fantastico.
Il trafugamento del corpo di San Marco è la seconda prestigiosa commissione. Allucinata visione di una quinta teatrale evanescente, costruita con vertiginose fughe prospettiche e invasa da una luce spettrale, che fa da sfondo a movimenti convulsi e dettagli stranianti, a rimarcare l’aspetto sovrannaturale della rappresentazione. Trentacinque dipinti di straordinaria efficacia, accostati ad un nucleo d’opere dell’epoca tra cui Tiziano e allestiti su uno sfondo rosso pompeiano, scandiscono le tematiche fondamentali della sua pittura: religiosa, mitologica e ritrattistica. Quest’ultima ampiamente sfruttata poiché gli assicurava una remunerazione costante, sono infatti centinaia i ritratti realizzati in brevissimo tempo. Mezz’ora di posa era più che sufficiente per l’abbozzo. Mentre ritroviamo il Tintoretto profano negli ottagoni per il soffitto della sala di Vettor Pisani e nella singolare scena drammatico - erotica di Venere, Vulcano e Marte.
Dopo il 1588, con il completamento della Scuola di San Rocco, (dalla quale provengono le due Marie assorte nella contemplazione del paesaggio) e il susseguirsi di eventi catastrofici - sopravvive alla figlia e al primogenito -, dipinge pochissimo. L’ultima grande impresa la Deposizione di Cristo nel sepolcro, parzialmente dipinta dal figlio Domenico, è il preludio della fine. La scena si svolge nell’ultima sfuggente luce del giorno, mentre il paesaggio scompare inghiottito dalla notte, e i segni delle tre croci si stagliano spettrali nell’oscurità, scrive la Mazzucco e conclude: quella luce lontana non è una promessa di Resurrezione ma un tramonto. Pochi mesi dopo la consegna si ammala. Muore il 31 maggio 1594.
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