American (R)Evolution
In attesa del Guggenheim ad Abu Dhabi, Roma celebra l’avanguardia americana post-bellica attraverso la collezione permanente del Museo di NY e una selezione d’opere della Peggy Guggenheim Collection. Dall’Espressionismo Astratto alla Pop Art; dall’Arte Concettuale al Minimalismo fino al Fotorealismo. Dipinti, fotografie e installazioni in mostra fino al 6 maggio...
Tutto ha inizio alla fine degli anni ’20, quando un industriale ebreo di origine svizzera, abbandonata la passione per l’arte antica, si dedica al collezionismo della pittura astratta con l’ausilio della baronessa Hila Rebay. Con una predilezione per Kandinsky che, non solo è stato il caposaldo ma anche l’ispiratore dell’impostazione iniziale della collezione.
Parliamo di Solomon R. Guggenheim, iniziatore della rivoluzione estetica che consacrerà New York a capitale dell’avanguardia internazionale. Fautore di un modello filantropico per tappe lineari volto all’apertura di una struttura museale che nel 1939 battezza Museum of Non-Objective Painting. Strategia opposta a quella adottata fino al 1941 dalla nipote Peggy, che s’inserisce nella vita culturale europea visitando gli studi, allestendo mostre e inaugurando ben due gallerie tra Londra e Parigi, con il rigoroso obiettivo di comprare un quadro al giorno. Ma lo sviluppo del Guggenheim, che avviene in un periodo tanto creativo e florido quanto caotico per i conflitti internazionali, si deve anche ad altre due figure cardine che ne hanno impresso il marchio istituzionale dal 1940: Lawrence Alloway e Giuseppe Panza di Biumo.
Scandendo i principali movimenti dell’avanguardia americana dall’epoca post bellica fino al 1980, un percorso cronologico impeccabilmente allestito, che riflette l’evoluzione del museo come istituzione, delinea come il Guggenheim da collezione incentrata esclusivamente sul movimento astratto sia assurta a punta di diamante dell’arte contemporanea internazionale. In un ambito dove il meglio della cultura europea ha iniziato a confluire dalla seconda metà degli anni ’30, dal momento che l’arte biomorfica sorta a New York negli anni ’40 fu il risultato di un complesso d’idee intorno alla natura, all’automatismo, alla mitologia e all’inconscio, per parafrasare Marisa Volpi Orlandini.
Terreno fertile quindi per l’Espressionismo astratto, poiché nella misura in cui Jackson Pollock s’ispira alla scrittura automatica - rappresentato in mostra con pezzi come Green Silver e Number 18 - Willem De Kooning parte dalla natura per sviluppare la pittura d’azione. Mentre artisti come Frank Stella e Kennet Noland negli anni ’60 si concentrano sulla sintesi formale per confluire in un rigoroso geometrismo.
Dall’ascesa dell’Espressionismo astratto all’esaltazione dell’immaginario popolare con la Pop Art, ovvero dallo sguardo all’inconscio più profondo al guardarsi intorno, grazie allo spartiacque del New Dada. In mostra, oltre all’inquietante sedia elettrica di Warhol, alcune grandi tele di Rauschenberg e Lichetenstein. Suddiviso in sette step, il percorso dedica la quinta e la sesta sala alla rottura con l’estetica espressionista, da Donald Judd coi specific objects, a Bruce Nauman e al suo versatile post minimalismo, per poi ritornare alla pittura con il Fotorealismo di Robert Bechtle, Tom Blackwell e Chuck Close. Nell’ultima sala, che chiude un monumentale percorso.
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