Monica Lugas - Lunadiga
È il bianco a farla da padrone nella personale di Monica Lugas (Cagliari, 1970) allestita a Tortolì, leitmotiv del percorso di quest’ultimo biennio.
Il bianco come simbolo di purezza e sacralità rappresenta per l’artista la totalità e di conseguenza la perfezione, in quanto racchiude in sé tutti i colori dell’iride, ma è anche simbolo delle fasi di passaggio dell’esistenza, dalla nascita alla morte. Attinge a piene mani dalla cultura isolana, nello specifico dalla tradizione architettonica nuragica, la giovane scultrice, che reinterpreta con un linguaggio contemporaneo per sviscerare tematiche sociali. Il tutto attraverso un’istintiva ed eccellente manualità, che implica l’utilizzo di materiali argillosi e che negli ultimi anni ha lasciato spazio anche a materie sintetiche ed elementi di recupero.
Giocata tutta sull’ambivalenza tra bene e male, la mostra si articola attraverso tre installazioni che si connotano come un viaggio esistenziale che dal paradiso precipita all’inferno. Apre il percorso Mi sono nutrita, imponente intervento della prima sala, che esibisce centinaia di candide mammelle umane e animali - modellate una per una - che emergono da tutte le pareti senza distinzione e soluzione di continuità. Alla valenza atavica dell’istinto animale che si amalgama a quello umano si accosta la forza vitale che dalla fertilità scaturisce per evocare una dimensione di beatitudine, nella quale ci si addentra con familiarità e stupore.
Il bianco come simbolo di purezza e sacralità rappresenta per l’artista la totalità e di conseguenza la perfezione, in quanto racchiude in sé tutti i colori dell’iride, ma è anche simbolo delle fasi di passaggio dell’esistenza, dalla nascita alla morte. Attinge a piene mani dalla cultura isolana, nello specifico dalla tradizione architettonica nuragica, la giovane scultrice, che reinterpreta con un linguaggio contemporaneo per sviscerare tematiche sociali. Il tutto attraverso un’istintiva ed eccellente manualità, che implica l’utilizzo di materiali argillosi e che negli ultimi anni ha lasciato spazio anche a materie sintetiche ed elementi di recupero.
Giocata tutta sull’ambivalenza tra bene e male, la mostra si articola attraverso tre installazioni che si connotano come un viaggio esistenziale che dal paradiso precipita all’inferno. Apre il percorso Mi sono nutrita, imponente intervento della prima sala, che esibisce centinaia di candide mammelle umane e animali - modellate una per una - che emergono da tutte le pareti senza distinzione e soluzione di continuità. Alla valenza atavica dell’istinto animale che si amalgama a quello umano si accosta la forza vitale che dalla fertilità scaturisce per evocare una dimensione di beatitudine, nella quale ci si addentra con familiarità e stupore.
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