Monica Lugas - Lunadiga

È il bianco a farla da padrone nella personale di Monica Lugas (Cagliari, 1970) allestita a Tortolì, leitmotiv del percorso di quest’ultimo biennio.
Il bianco come simbolo di purezza e sacralità rappresenta per l’artista la totalità e di conseguenza la perfezione, in quanto racchiude in sé tutti i colori dell’iride, ma è anche simbolo delle fasi di passaggio dell’esistenza, dalla nascita alla morte. Attinge a piene mani dalla cultura isolana, nello specifico dalla tradizione architettonica nuragica, la giovane scultrice, che reinterpreta con un linguaggio contemporaneo per sviscerare tematiche sociali. Il tutto attraverso un’istintiva ed eccellente manualità, che implica l’utilizzo di materiali argillosi e che negli ultimi anni ha lasciato spazio anche a materie sintetiche ed elementi di recupero.
Giocata tutta sull’ambivalenza tra bene e male, la mostra si articola attraverso tre installazioni che si connotano come un viaggio esistenziale che dal paradiso precipita all’inferno. Apre il percorso
Mi sono nutrita, imponente intervento della prima sala, che esibisce centinaia di candide mammelle umane e animali - modellate una per una - che emergono da tutte le pareti senza distinzione e soluzione di continuità. Alla valenza atavica dell’istinto animale che si amalgama a quello umano si accosta la forza vitale che dalla fertilità scaturisce per evocare una dimensione di beatitudine, nella quale ci si addentra con familiarità e stupore.

Monica Lugas - Senza nome - 2009 - ferro zincato, silicone, targhette plastificate, fascette di plastica

Per passare alla sala attigua, dove i seni ingabbiati esortano a riflettere sulla condizione di costrizione in cui la donna spesso si trova, ancora vittima di un retaggio culturale antico. Così come si percepisce dal titolo:
Lunàdiga. Espressione della cultura pastorale che denota la femmina sterile e battezza l’intero progetto.Ma al contempo allude all’aridità e all’indifferenza di una società allo sbando, che ha perso i propri punti di riferimento ben incarnate dall’ultima installazione: Ingabbiati. Dove una serie di gabbie impilate fino al soffitto, contenenti numerose navicelle in silicone, sono spezzate alla base da piccole lastre in marmo bianco, epitaffi senza nome in memoria dei tanti dispersi in mare. In continuità con la negazione dei diritti umani della precedente installazione, Ingabbiati si pone in forte polemica nei confronti dell’introduzione del reato di clandestinità.

Monica Lugas - Ingabbiati (particolare) - 2008 - gabbie di alluminio, silicone, marmo bianco

La mostra rientra all’interno del progetto
Su Lugu De S’iscultura, che ha visto la recente acquisizione dell’opera di Alex Pinna, Big Pinocchio, e che si configura come premessa per la realizzazione site specific di un’opera monumentale destinata al parco. Notevole sintomo di apertura, da parte del direttore artistico Edoardo Manzoni, nei confronti della giovane arte sarda, ancora troppo poco coinvolta dalle strutture istituzionali.

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