Hui Xin e Zhu Hai

Pittura pachword tra graphic design e linguaggio pubblicitario per Hui Xin. Pittura e installazione di matrice surrealista per Zhu Hai. Due linguaggi differenti, in bilico tra tradizione e innovazione, nella doppia personale meneghina da Primo Marella…
 
Seconda apparizione in Italia per Hui Xin (Xinjiang, 1977) e Zhu Hai (Chongqing, 1980). Dopo la collettiva Nuclear Transformation dello scorso anno, sempre da Primo Marella, è ora la volta della doppia personale, per i due giovani artisti che poco hanno in comune se non la volontà di aggirare la realtà. Infatti, appare sempre vincente la vecchia formula di sfruttare la fantasia per arginare conflitti e frustrazioni della vita reale. In un contesto d
ove l’immaginazione diviene strumento analitico per la comprensione della realtà, gli artisti tracciano due percorsi di fuga dal vissuto con soluzioni notevolmente differenti. Il primo con un linguaggio più abusato e in linea con le tendenze estetiche del momento, il secondo con soluzioni iconografiche originali e contenuti più consistenti.

Concretizza una sorta di collage di icone pop, Hui Xin, attingendo dalla tradizione orientale, ma anche dal linguaggio pubblicitario, dalla graphic design e dalla computer grafica. Per dare vita ad un mix di motivi decorativi e textures ornamentali con un’impostazione surrealista che permette all’artista una riorganizzazione dell’universo dove l’unico obiettivo - oltre alla funzione estetica della rappresentazione - è soddisfare se stesso. Devoto ai beni di consumo in versione glamour, l’artista si avvale di visioni fantastiche fatte di animali e oggetti che fluttuano senza gravità alcuna. Tra campiture piatte estremamente decorative, in bilico tra suggestioni optical art e visual design. Forme fluide che delimitano mappe mentali o meglio visioni aeree, talvolta disposte in maniera spiraliforme come nell’opera psichedelica Cappuccino. I colori brillanti ed il linguaggio altamente decorativo riportano alla tradizione grafica di Hokusai ma anche al movimento superflat di Murakami. In un tripudio caleidoscopico autoreferenziale di barocchismo e horror vacui.  
Provengono dalla videoarte le suggestioni che Zhu Hai riesce a trasmettere interrogandosi sul senso dell’esistenza e giocando con l’ambiguità del corpo umano. Un viaggio intrapreso dall’artista che si limita ad osservare e ad offrire una diversa prospettiva del genere umano. Elemento cardine della sua poetica è l’occhio in quanto specchio dell’anima. Ma non un normale occhio bensì la combinazione di esso con altri organi nel tentativo di dare vita ad una creatura aliena, che non può trovare il suo equivalente nel mondo reale. Ibrida entità che vive di luce propria, elemento costante in tutte le opere in mostra. Dai dittici pittorici - dove si trova incastonato nel muso del leone, antico guardiano che protegge dagli spiriti maligni - alla diapositiva proiettata sul muro fino ad arrivare al light box, dove una decontestualizzata Madonna Sistina di Raffaello - omaggio alla cultura italiana - tiene tra le braccia non più il Bambino ma il grande occhio. O meglio l’occhio del cuore, come definito dall’artista, per una visione più ampia del mondo. Occhio che si integra al mondo animale e vegetale per un rapporto reciproco di osservazione che suscita ambigue sensazioni. Tra estraniazione e disagio puro.

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