Premio Italian Factory 2008

Sono stati 400 i partecipanti alla selezione del Premio Italian Factory - oltre un centinaio in meno rispetto all’edizione precedente - che vede protagonista indiscussa la pittura promossa esclusivamente tramite l’apporto di collezionisti e mercanti d’arte. Operazione di marketing nata nel 2004 e giunta alla sua terza edizione, Italian Factory si articola tra pubblicazioni, happening, collaborazioni con musei e istituzioni con l’obiettivo d’inserire i giovani artisti nel mercato nazionale ed internazionale. Una sorta di agenzia che individua e valorizza nuove leve di pittori e scultori, che si “immola” per dare gran visibilità al rinnovamento pittorico, in antitesi al dominio del concettuale e che, a detta del fondatore Alessandro Riva, si connota come una sorta di battage contro il sistema radical chic dell’arte contemporanea. Queste le prerogative del progetto Italian Factory che a quanto pare sembrerebbero essere venute a mancare proprio in quest’ultima edizione. Perchè se è vero che l’intento fondamentale è quello di spingere la pittura verso una nuova rinascita, favorirne una veste innovativa rigorosamente in linea con l’epoca contemporanea, a quale scopo buona parte dei 20 artisti selezionati ha presentato opere “vecchie”, ovvero realizzate uno o due anni prima? Dov’è il tanto decantato rinnovamento della pittura, l’originalità e la capacità tecnica se non in pochi esempi in mostra?

In un contesto che vorrebbe artisti estranei alle tendenze del momento, viene proclamato vincitore Desiderio Sanzi (Milano, 1978), un artista-camaleonte capace di adattarsi a seconda dell’occasione o del critico da sedurre, interprete di una pittura ancora acerba e dagli esiti formalmente scontati. Anche per quanto riguarda Alessandro Brighetti (Bologna, 1978), - secondo qualificato - c’è da chiedersi cosa ci sia di nuovo nella sua pittura iperrealista tenuto conto della presunzione del premio di porsi come elemento di rottura. E la situazione non migliora neppure con le opere dei writers. Se poi sommiamo un allestimento talvolta soffocante supportato da un apparato luci spesso inadeguato, non resta che pretendere molto più impegno e una buona dose di modestia sia da parte degli artisti sia da quella degli organizzatori per non etichettare Italian Factory come l’ennesimo progetto inconcludente ed autoreferenziale. 
Ma veniamo alle opere che rivelano una ricerca coerente con soluzioni originali, un’attenzione particolare alla tecnica attingendo dalla tradizione ma al contempo a quelle suggestioni provenienti da cinema, musica, cartoon, pubblicità ed illustrazione. Dall’universo intimo e visionario di Silvia Argiolas (Cagliari, 1977) e Fiorella Fontana (Caravaggio, 1984) alla raffinatezza ed essenzialità formale di Nahoko Funabiki (Kobe, 1979) - artista meritatamente segnalata al contrario di Alessandra Rosini che concepisce un’opera di buona fattura ma dal linguaggio superato -; dall’interpretazione di mondi grotteschi e paralleli di Giuliano Sale (Cagliari, 1977) e Mirko Canesi (Milano, 1981) –, alla contaminazione tra fotografia e disegno al servizio di erotismo e sensualità per Francesco D’Isa (Firenze, 1980) per concludere con l’esasperazione emotiva e carnale di Cristian Leperino (Napoli, 1979).

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