Gulliver in Wonderland

Occulte sculture antropomorfe di derivazione pop sapientemente accostate a dipinti surreali di matrice Superflat. Tradizione e innovazione si fondono nelle opere di Carl D’Alvia e Asuka Ohsawa. A confronto nel nuovo spazio di Massimo Carasi…


L’immaginario rappresenta in ogni momento il senso implicito del reale. Niente sarebbe più appropriato di questa citazione di Sartre per sintetizzare il leit motiv dell’opera di Carl D’Alvia (Sleepy Hollow, 1965) e Asuka Ohsawa (Torrance, 1973). Sono sostanziali i punti di contatto nel linguaggio dei due artisti ma quello che meglio li rappresenta e più seduce è senz’altro l’elemento fiabesco, per entrambi strumento d’indagine esistenziale. Talmente radicato nella cultura e nell’immaginario collettivo da apparire particolarmente efficace a svelare i lati più oscuri della natura umana, portare in superficie conflitti rimossi, spesso veicolati da metafore al limite della efferatezza. Questo il punto di partenza della riflessione dei due artisti - e della doppia personale allestita nel nuovo spazio di Massimo Carasi - che sembrano ispirarsi all’ossessiva decostruzione della fiaba di Angela Carter, dove alla crudeltà mescola caos, trasgressione ed erotismo. Il tutto filtrato da un’attenzione per la tradizione – italiana nel primo, giapponese nel secondo - e dalla volontà di mettere in scena atmosfere alienanti attraverso tematiche spesso contraddittorie. 


Sono presenze ironiche ma al contempo inquietanti, le creature monocrome di Carl D’Alvia. Figure antropomorfe che modificano la percezione della natura attraverso un processo di mascheramento che cela l’apparenza per preservarne l’essenza. Ottenute da materiali di produzione industriale, attraverso la definizione minuziosa delle forme, le nove sculture in mostra derivano da un linguaggio di matrice Neo pop esplicitamente narrativo. Ammantate da concetti ambivalenti come natura/artificio, ironia/dramma, attrazione/repulsione e minimalismo/barocco. Valori che accostano l’artista alla pungente irriverenza di Jeff Koons e all’universo fortemente straniante di Katharina Fritsch.
Attinge dallo stile giga (illustrazione umoristica) della tradizione giapponese, Asuka Ohsawa, e dalle stampe del “mondo fluttuante” Ukiyo - che trova il maggior esponente in Hokusai Katsushika, responsabile della febbre del Giapponismo - ma anche dalla più contemporanea cultura Superflat.. La sua è una ricerca dove stilizzazione ed essenzialità della linea traducono una riflessione sulla condizione femminile incarnata da una Cappuccetto rosso stile pin-up che ammalia e sgomenta al tempo stesso. In un’ambientazione surreale, che trasfigura il bosco nella imponente veduta del Fuji e restituisce una visione della società contemporanea animalesca, dominata da un atteggiamento voyeristico, impregnata di violenza ed erotismo. Ingannevole gioco per codificare la realtà quello di Asuka, quanto o forse più straniante di quello di Carl D’Alvia. In bilico tra realtà e finzione, con una cifra stilistica capace di fondere spensieratezza ed inquietudine, insieme, gli artisti sono capaci di calare lo spettatore nell’atmosfera alienante di mondi ambigui e fantastici. Racconti delle meraviglie che incantano e atterriscono.

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