BYO - Bring Your Own
Al principio, il timore che la collezione risultasse snaturata dal provvisorio trasferimento è stato grande. Tuttavia, convinto che l’allargamento della fruizione dell’opera non può che generare un arricchimento della stessa, lo staff del Gruppo Teseco ha deciso di mettere a disposizione del Man parte delle acquisizioni della fondazione, nello specifico sessanta opere tra fotografie, installazioni e video. Nata nel 1998, figlia di un’azienda operante nel settore dell’ingegneria ambientale, la Fondazione per l’Arte Teseco punta alla conservazione e alla valorizzazione del territorio, nel tentativo d’inserire l’arte contemporanea in un circuito alternativo. Curata da Gail Cochrane, la collezione coinvolge artisti toscani, per un’attenta ricognizione sul territorio, ma anche nomi nazionali e internazionali che si accostino agli obiettivi del gruppo, generando un proficuo connubio tra impresa e cultura. Innumerevoli le sinergie con gli enti culturali toscani -tra i quali le Papesse e ultimamente Quarter- o le importanti presenze che vanno dalla Biennale d’Arte a quella d’Architettura fino alla Fiera Arco a Madrid. Attività didattiche, incontri, conferenze e la promozione di eventi teatrali e musicali sostengono le opere degli artisti invitati a realizzare progetti site specific in grado di sovvertire o ridefinire gli spazi della normale vita aziendale. Oltre vent’anni d’impegno e passione da parte di Gualtiero e Maria Masini per divulgare la ricerca contemporanea e mettersi continuamente in gioco, stavolta azzardando un trasferimento così importante che confluisce nella struttura più prestigiosa per l’arte contemporanea in Sardegna.
BYO. Bring Your Own (ossia “porta il tuo”), operazione che sottolinea l’estrema apertura del museo sardo, gode di un’ampia ed articolata selezione della Collezione Teseco, che in un dinamico allestimento consente letture trasversali e percorsi variabili, abbattendo i confini prestabiliti tra un’opera e l’altra. Nutrita la selezione di fotografie, che ruota intorno al tema del ritratto e dell’autoritratto: Francesco Vezzoli immortala la top model Veruska nell’atto di ricamare al tombolo la propria effige con vent’anni di meno, mentre Katharina Sieverding espone un doppio autoritratto, eseguito in momenti diversi. Affrontano il tema del doppio un giovane Luigi Ontani in travestimento nazista e Cindy Sherman nell’autoritratto mascherato, specchio dell’identità femminile. Dalle foto di una delle prime performance della Beecroft, con modelle in parrucca rossa, si passa alla gigantografia di Botto e Bruno, periferia immaginaria dove le strutture decontestualizzate e riassemblate sembrano tenere ai margini gli alter ego dei due artisti. Al confine tra fotografia e pittura si collocano le “accidentate” stampe di Wolfgang Tillmans, affiancate alle ambientazioni d’interni delle light box di Elisa Sighicelli, algidi ambienti dove nulla sembra familiare.
In forte antitesi con l’indagine sul genius loci di Alberto Garutti dedicata alla casa museo di Cordati. Ancora ritratti nella videoinstallazione di Candice Breitz, prodotti estrapolando frames bloccati e ripetuti all’infinito, a rimarcare la stereotipizzazione dello star system. Tra i video in mostra Without you I’m nothing di Botto e Bruno, che riflette la solitudine e lo spaesamento di un’infanzia ai margini della periferia, e You’ll never walk alone di Elisabetta Benassi, dedicato a Pier Paolo Pasolini e interpretato dall’artista coinvolta in un’improvvisata partita con un sosia del poeta. Dialogano con lo spazio l’acrobata di Juan Muñoz calato nella tromba delle scale, l’installazione di Chen Zen Voices of Migrators che, tra cultura orientale ed occidentale, affronta le problematiche del nomadismo, e l’operazione di Heimo Zobernig che intelaia tessuti trasparenti per sfondi televisivi e li sospende, nell’intento di ribaltare la funzione degli studi di registrazione.
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