Ugo Mulas


A un certo punto, ho cominciato delle operazioni sganciate dagli altri, sganciate dalla mia volontà di essere testimone e di raccogliere l'esperienza altrui, per vedere che cos'è questo sentirsi soli di fronte al fare, che cos'è non cercare più dei puntelli, non cercare più negli altri la verità, ma trovarla soltanto in se stessi, e capire che cos'è questo mestiere, analizzarne le singole operazioni, smontarlo come si fa con una macchina, per conoscerla”. Da questi presupposti nasce la serie di Verifiche di Ugo Mulas (Brescia 1928 - Milano 1973) realizzata prima della sua prematura morte e che introduce il percorso espositivo del Man.
La scelta cronologica a ritroso dei curatori è dovuta alla volontà di evidenziare la figura di Mulas come artista e non soltanto come testimone di un’epoca. Da Omaggio a Niepce, primo risultato delle Verifiche, ad Il cielo per Nini grazie al quale riscontra che l’unico soggetto impossibile da ingrandire è proprio la volta celeste; dalle due immagini apparentemente simili, ma in realtà opposte, di Vittorio Emmanuele II alla Fine delle verifiche dove un vetro rotto, palese riferimento duchampiano, si sovrappone all’Omaggio a Niepce decretando la fine della serie. Seguono le visionarie immagini destinate alle scenografie per le opere The Turn of the Screw di Britten, fortemente solarizzate e contrastate ad accentuare l’ambiguità della rappresentazione di un ambiente dove i protagonisti altro non sono che dei fantasmi, e Wozzeck di Berg attraverso le quali restituisce le inquietanti atmosfere dei campi di concentramento. La poesia per immagini dedicata a Montale con Ossi di Seppia introduce i ritratti d’artista immortalati in ambientazioni che fanno riferimento esplicito ai rispettivi linguaggi estetici. Chagall sembra quasi ritirarsi dall’inquadratura per non intralciare l’opera che si staglia sullo sfondo, Tàpies si affaccia dal vetro rotto di una vecchia finestra mentre Mirò si lascia ritrarre vicino al profilo di dama del Pollaiolo e Fontana, con aria di sfida, affianca uno dei suoi imponenti “tagli”.

Chiudono l’esposizione la serie di fotografie dedicate alla Milano degli anni Cinquanta e Sessanta dove poesia e malinconia si fondono a fare da protagoniste tra scorci periferici di gusto neorealista, dove silenziosamente si muovono operai, ambulanti e bambini. Gente comune che vive la propria realtà ignara dell’occhio attento di un artista che, oltre alla sperimentazione che lo designerà in Italia come iniziatore della fotografia concettuale, è riuscito a cogliere con estrema sensibilità la profondità dell’animo umano. ”Al fotografo il compito d’individuare una sua realtà, alla macchina quella di registrarla nella sua totalità”. (r. v. exibart)

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