Todo me parece bonito

“Mi pare che i quadri siano stati oggetto di sopravalutazione, di una cieca ammirazione che ne ha fatto delle cose ideali e questo errore di valutazione è stato sanzionato da strani epiteti che si è voluto applicare ai pittori, il divino, l’ispirato, e così via… Eppure i più sublimi prodotti del pennello sono il risultato non dell’ispirazione bensì di lunghi e pazienti studi, guidati da tanto buon senso”. (E. Gombrich). Tra performance che risentono di trovate pubblicitarie, cloache meccaniche che digeriscono e defecano, pseudoartisti che modificano geneticamente il proprio corpo inserendo inquietanti protesi o chi per mancanza di creatività firma opere altrui traducendo l’operazione in geniale idea, in un’epoca nella quale sempre più spesso fare arte significa “produrre” uniformandosi alle richieste di mercato, stupire con “effetti speciali”, dissacrare con banali interventi pornografici, è in quest’ambito che più forte si dovrebbe urlare al ritorno di contenuti nell’arte, alla narrazione, alla creazione d’idee, emozioni, passioni che vivano nel tempo e che rispecchino “il modo di intendere l’esistente di una determinata epoca”. Questa mostra collettiva, che vede la partecipazione di numerosi giovani artisti isolani, intende essere motivo di riflessione sul senso di fare arte oggi al quale ben si adattano le parole di De Kooning: “L’originalità in arte non coincide necessariamente con la qualità. Vi è una grande differenza tra l’essere originale ed essere un grande artista, così com’è diverso essere originale o infrangere le regole”. All’interno delle più eterogenee sperimentazioni artistiche contemporanee, dopo il lungo dominio delle esperienze concettuali, spezzato dalla sola parentesi transavanguardista, la pittura, data per morta ad iniziare da Argan, in questi ultimi anni ha ripreso quello slancio che non avremmo mai osato immaginare. L’intento della mostra è quello di andare oltre il discorso artistico concepito come mezzo dissacratorio, in quanto effimera rappresentazione, che limita la sua funzione alla sola forma di stupore come impongono le tendenze. All’interno di quest’ottica è stato chiesto ad ognuno dei diciassette artisti partecipanti, alla ironica e provocatoria Todo me parece bonito, un “ritorno” alle tecniche pittoriche che siano confacenti ad esprimere i lati più oscuri della società contemporanea, ma anche a sviscerare conflitti esistenziali o più semplicemente a raccontare un episodio autobiografico che abbia lasciato il segno, fatto vibrare l’anima, capace di oltrepassare il perverso sistema dell’arte, fatto di epigoni frustrati e artisti trendy, che spesso svilisce l’espressività individuale. “L’arte per me è un evento dello spirito: solo nell’arte lo spirito trova una forma concreta e il senso della sua vivacità o della sua quiete”. Fondamentale in questo senso è il recupero di una dimensione tecnica extrapittorica capace di esprimersi attraverso la fotografia, l’incisione, la scultura, le tecniche miste. “Non credo che sia mai stata questione di essere figurativi o astratti. Piuttosto si tratta di porre fine a questo silenzio e a questa solitudine, di dilatare e tornare a respirare”. (M. Rothko) Aldilà delle differenze stilistiche e di linguaggio, gli artisti invitati non hanno disatteso le aspettative dell’iniziativa che si configura come uno spaccato qualitativo sulle ricerche estetiche degli ultimi anni - fondate sulla manualità pittorica come mezzo privilegiato ma anche aperta ad altri strumenti espressivi - lontana da facili improvvisazioni e agganci di precaria tendenza. “Cosa credete, dunque, che sia un artista? Egli è allo stesso tempo un essere politico che vive costantemente nella consapevolezza degli eventi mondiali distruttivi, scottanti o gioiosi, e che si forma in tutto e per tutto secondo la loro immagine. No, la pittura non è stata inventata per decorare appartamenti. Essa un’arma di offesa e di difesa dal nemico” (Picasso)



Dalla pittura aniconica, Bernardì Altamirano approda ad una rappresentazione figurativa in chiave pop con "Todo me parece bonito", nella quale si cela l’ironica denuncia contro la società odierna votata ad un delirante consumismo e la presa di coscienza della perdita di centralità dell’opera d’arte in sé, divenendo elemento di disturbo, il galletto si oppone all’omologazione, alla progressiva perdita d’identità culturale che inevitabilmente dilaga.
Improntata sulla pittura figurativa iperrealista, Silvia Argiolas approfondisce la sua ricerca sulle immagini stereotipate proponendo "Blondje", spietato ritratto del transessuale detenuto e amante di una guardia carceraria. L’abilità tecnica ha consentito all’artista di rendere con estremo realismo i grotteschi tratti somatici in antitesi alle sterili immagini patinate che la società contemporanea esige.
E’ il ritorno ai valori tradizionali della grafica a caratterizzare l’opera dell’esordiente Andrea Aversano. Un senso lacerante di solitudine incombe nella xilografia stampata a mano dal titolo "No comment", silenziosa riflessione sull’esistenza, sulla sofferenza causata da eventi nefasti, devastanti. L’artista incide con impeto quasi a voler esorcizzare presagi di morte che inesorabilmente irrompono.
Creatore d’immagini come metafore dell’esistenza, Giuseppe Bosich allude all’essenza dell’entità collettiva nel visionario "Tessuto d’umanità". Come in una sorta di bassorilievo cangiante grottesche maschere saldate come catene si susseguono all’infinito a sottolineare la rinuncia all’individualismo imperante insito nell’epoca attuale, a favore di un’utopica fusione di spiriti e finalità.
L’utilizzo di tecniche miste quali pennarelli, matite e acrilici, sono congeniali al linguaggio estetico di Sandro Conti che prende in esame la natura, la seziona, la frantuma, ne sviscera l’essenza più recondita. I frammenti decontestualizzati sono armoniosamente combinati secondo la personale visione dell’artista che dissacrando la forma attua una sorta di metamorfosi giungendo ad esiti d’autentica liricità.
"…Questo pianto di sangue che decora, lira senza timbro, torcia senza presa…" Appaiono particolarmente adeguati ai "Ventricoli" di Elisabetta Falqui questi versi di Garcia Lorca. Tensione e pathos sembrano affluire a fiotti in un avventuroso inoltrarsi nei meandri oscuri della coscienza. L’artista insiste su un gesto pittorico teso a rivelare la drammaticità dell’esistenza. Il dolore prende forma nel sangue. Fluisce lento. Solca la superficie scorrendo incessantemente.
Si concretizza nella fotografia, in un rigoroso bianco e nero dagli echi profondamente pittorici, la drammatica poetica di Guglielmo Massidda. E’ l’assidua ricerca della parte mancante, dell’altra metà dell’io a fare da protagonista in "Metamorfosi". Dalla tensione dei corpi ritagliati sullo sfondo emerge il momento di transizione della trasfigurazione nel tentativo di un ritorno alla purezza ancestrale, tra delicate evanescenze, decisi contrasti chiaroscurali e ombre irreali che affiorano come fantasmi.
Confluisce nella drammatica visione di un corpo deturpato dal male, la riflessione di Tonino Mattu fatta di pittura materica, densamente stratificata e carica di profonde valenze espressioniste. Sembra trasudare sangue la superficie scalfita da una croce che contraddistingue metaforicamente la parte colpita che diviene marchio indelebile ma anche orrenda cicatrice della memoria.
Coagula, addensa lentamente, accumulandosi come stratificazioni geologiche, il linguaggio plastico di Maria Grazia Oppo. Deriva dalla materia riciclata e finemente manipolata il dialogo tra natura ed artificio che prende forma in "Tracce di caos", evocazione di una incalzante quanto continua evoluzione formale dall’intensa e lacerante fisicità, traboccante di densa ed impetuosa carica esistenziale.
La pittura ad olio su tavola è il campo privilegiato da Giuseppe Pettinau il cui atteggiamento analitico è frutto di un’incessante quanto attenta sperimentazione. Il dramma dell’inesorabile scorrere del tempo confluisce nel manipolare, incidere, graffiare energicamente la materia quasi a volerla fare sanguinare. La totemica "Testa" si staglia silenziosa tra grumi dell’informale e graffianti codici segnici intrisi di un’aura sacrale che da sempre ha pervaso le opere dell’artista.
Subiscono l’eco della tradizione surrealista gli inquietanti fiori di Stefania Polese volti ad un attento scrutare di occhi universali che indagano coscienze collettive. Nell’opera si palesa il malessere di una società asfittica e delusa, intrisa d’angosce esistenziali per approdare ad una corrispondenza tra le fantasmagorie dell’inconscio, la natura e gli oggetti di vita quotidiana.
Proviene dalla tradizione manga del fumetto il linguaggio pittorico di Roberta Ragona i cui protagonisti, apparentemente immersi in contesto ludico, incarnano lirici quanto malinconici pupazzi di pezza. E’ la snervante attesa a fare da protagonista in "Un bel dì vedremo levarsi un fil di fumo". La lontananza vista come un "peso desolante che schiaccia verso terra" è vissuta con profondo disagio, proiettata verso l’esterno all’affannosa ricerca di un equilibrio mancato.
Attinge dall’antica tradizione fiamminga fino a giungere agli artisti della Secessione berlinese, la pittura visionaria dell’olandese Renè Rijnink. Il senso d’angoscia che traspare dalle deformazioni fisionomiche orientano verso lo straniamento, la volontà di liberarsi da un presente opprimente, da una claustrofobica intima visione dell’umanità spazzata via da nodose mani di schieliana memoria.
Incentrato sugli eccessi della condizione umana, il percorso di Giuliano Sale confluisce nel plasmare esseri grotteschi ossessionati dal tempo che passa e dal corpo in balìa del più crudele disfacimento. L’artista dipinge con spietato cinismo gli orrori quotidiani, la condizione esistenziale alienante, alterazioni e deturpamenti fisici, espressioni del complesso dramma esistenziale immerso in una contemporaneità torbida, violenta e pesantemente inquietante.
Privilegia la pittura di matrice novencentista, Fernanda Sanna che restituisce una valenza fortemente erotica alla sua "Nike d’amore". Definiti dalla sola linea di contorno, i monumentali corpi dei due amanti si fondono in un abbraccio sensuale e sinergico immerso in un’atmosfera sospesa, senza tempo. Sintesi stilistica, spiritualità e rigorosi linearismi sono i tratti incisivi di un’espressività dalla quale emergono conflittualità interiori scaturite da un’attenta riflessione sulla caducità del destino.
Fotografia e pittura si fondono in un connubio armonico dando origine alle DIART, frutto dell’originale ricerca di Angelo Secci. Dal mito, confacente a narrare le sorti dell’umanità prendendo le mosse dagli albori dell’esistenza, nasce "Lilith" creatura demoniaca, amante perversa e ribelle. Il suo volto è una maschera priva di emozioni, violentemente attraversata da ombre minacciose. E’ tra accensioni cromatiche e incisività del tratto che "l’altra faccia della luna" emerge lentamente e silenziosa assaporando vendetta.
Tra materiali riciclati, manipolati, tormentati prende forma il "Tunnel della memoria" di Luciano Soro. Al recupero della tradizione pittorica l’artista unisce la purezza degli incastri geometrici rivelando una spiritualità che culmina in un pertugio che esibisce un’esile figura adagiata. Tra rigorosità e vigorosi interventi materici solo ad un secondo sguardo si materializza la visione di un corpo straziato specchio della sofferenza umana.


(Testo catalogo mostra collettiva Todo me parece bonito)




Commenti

  1. Anonimo11:42 PM

    Guglielmo Massidda è il mio prof di Storia dell'arte!! veramente molto preparato, uno degli insegnati migliori

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