Il Guercino ritrovato



Erano trascorsi quasi quarant’anni dalla realizzazione dei magnifici affreschi del Casino Ludovisi quando Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino, ricevette la commissione di una serie di opere destinate a decorare le sale del palazzo di Francesco Manganoni. Costituita da circa venti dipinti, la collezione subì una serie di passaggi ereditari ma rimase integra sino alla fine dell’Ottocento quando fu smembrata per colmare gravosi debiti fino alla completa dispersione avvenuta nel 1913. Non si ebbe più alcuna notizia delle opere fino a qualche anno fa quando alcuni dipinti furono rintracciati in diverse collezioni private, riassemblati ed esposti per la prima volta nel settembre scorso a Rimini. Alla Collezione Manganoni, ridotta a circa la metà dei dipinti originari e che per l’occasione ha subìto un accurato intervento di restauro, è stato accostato un altro nucleo d’opere del Guercino mai esposte al pubblico prima d’ora. L’importanza di questa mostra di nicchia deriva dalla possibilità di delineare un excursus dell’attività pittorica dell’artista in Emilia Romagna e di porlo a confronto con i più grandi esponenti che animavano la scena italiana nel Seicento, quali Annibale Carracci, Guido Reni, Domenichino, Bartolomeo Schedoni, Michele Desubleo, Giuseppe Maria Crespi e Simone Cantarini.
Tra le opere in mostra, che spaziano dal sacro al profano, meritano particolare attenzione il “San Pietro” esposto a New York nel 1989, il “Cristo e la samaritana al pozzo” commissionato da Giuseppe Baroni e registrato nel famoso Libro dei Conti, “Salomè riceve la testa del Battista” riportata nel primo inventario come “Herodiade che riceve in un bacile la testa di San Giovanni Battista”. Da non trascurare una delle poche opere realizzate da Bartolomeo Schedoni, geniale artista emiliano prematuramente scomparso, del quale è possibile ammirare un “David con la testa di Golia”. Costituita principalmente da opere tarde, che vedono un Guercino più libero dagli schemi del tempo, non si ha purtroppo la possibilità di apprezzare la mostra nella sua totalità poiché la Palazzina Bellavista, immersa nel cuore del Parco Geominerario, con le sue anguste stanze si è rivelata assolutamente inadeguata all’esposizione, che tra gli altri dipinti presenta anche due pale d’altare, paradossalmente collocate in un piccolo spazio ricavato all’ingresso. Altra nota dolente è l’illuminazione di cui sono stati dotati i dipinti, la quale in molti casi non permette l’integrale visibilità d’ogni singola opera.

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