Cy Twombly - Sculture
All’epoca dei primi esperimenti plastici Cy Twombly con il suo alfabeto segnico era già un esponente di rilievo dell’Action Painting americana. L’attività scultorea dell’artista, considerata secondaria rispetto a quella pittorica, è rimasta praticamente sconosciuta fino agli anni Novanta. Le prime espressioni artistiche ed installative, ottenute dall’unione di materiali di scarto, risentono fortemente delle composizioni dadaiste di Kurt Schwitters, oltre all’influenza dei White Painting di Robert Rauschenberg, e risultano strettamente legate al concetto di silenzio dell’amico John Cage . Di questi primordiali oggetti-scultura l’unico sopravvissuto fino ai giorni nostri è parte di una vecchia scopa assemblata a due cucchiai di legno e ad un imbuto metallico. Successivamente battezzate “African things ”, le opere seguenti, riveleranno suggestioni desunte dalla scultura arcaica africana e nello specifico dalle figure totemiche, ottenute perlopiù da bastoni che avvolgerà con grossolane corde e infilzerà con spilloni conferendo loro la parvenza di feticci.
Con il suo trasferimento in Italia, a Roma, la critica non si pronuncerà per lungo tempo e Twombly abbandonerà l’espressione plastica fino al 1976. E’ da questo momento che la storicizzazione dell’opera scultorea inizierà la sua ascesa. Lucio Amelio nel 1979 esporrà per la prima volta una serie di undici opere, ma sarà fondamentale per la comprensione della poetica del maestro l’interpretazione del critico svizzero Harald Szeemann dove nella grande retrospettiva itinerante del 1987, presenterà una ventina di sculture realizzate negli anni '80. Lo spazio espositivo, strutturato dallo stesso Szeemann con lunghi teli bianchi, renderà le opere lattiginose pregne di un’abbagliante luminosità. Scriverà in proposito: “Le sculture irradiano nello spazio quali emissari irreali, non pienamente afferrabili. Emissari di luce, emissari di silenzio, emissari di poesia.” Indubbiamente la concezione più recente della scultura twomblyana si allontana dai riferimenti dadaisti e primitivisti degli anni cinquanta e sessanta, per immergersi nella poetica simbolista di Mallarmè.
Tra le sculture in mostra a Cagliari, realizzate tra il 1954 e il 2002, “Aurora”, è strettamente legata ai versi del poeta ma non è difficile leggervi anche i riferimenti alla scultura classica, come si può intuire in “Cronaca di Vulci ”, opera in bronzo del 1995, la passione dell’artista per l’archeologia. Bronzo, legno, argilla e chiodi, materiali di scarto che riciclati e decontestualizzati vengono assemblati tra loro per un fine profondamente lirico. Il fiore di plastica, metafora poetica della realtà che diviene idea e motivo ricorrente nelle opere esposte, nasce da sterili bastoni consunti ricoperti di candido gesso o di calcina raggrumata. Sarà lo stesso Twombly a definire la poetica del bianco all’interno della sua opera: “Quello della bianchezza può essere uno stato classico dell’intelletto o un’area neoromantica di rimembranza, come nella bianchezza simbolica di Mallarmè”. Il premio della Fondazione Costantino Nivola giunge un anno dopo il ricevimento del Leone d’Oro alla carriera in occasione della quarantanovesima Biennale veneziana. La fondazione ha promosso finora un altro Premio alla Carriera, conferito al recentemente scomparso Eduardo Chillida nel 1997, un Premio Internazionale destinato nel 1999 a sei artisti danesi e ad altrettanti italiani, e tre Premi Regionali che assegneranno una borsa di studio ai primi classificati. In data da stabilire una mostra ad Orani esporrà le opere di tutti i partecipanti al concorso. (roberta vanali - exibart)
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