Brancaleone Cugusi da Romana

Eccentrico autodidatta fece dell’arte la sua ragione di vita. Tra metodo e ossessione. Perché la pittura per lui era prima di tutto “mestiere delicatissimo”, assai complesso, da dominare. Dopo decenni di oblio finalmente una mostra per Brancaleone Cugusi…



Sono dovuti trascorrere sessantadue anni dalla sua morte prima che arrivassero i dovuti riconoscimenti ad uno dei più grandi artisti che la Sardegna abbia avuto. La scoperta non si deve ad uno storico dell’arte isolano, infatti, prima di Altea e Magnani nessuno aveva mai fatto menzione a Brancaleone Cugusi (Romana, 1903 – Milano, 1942). E non c’è da stupirsi se si pensa che si è arrivati a snobbare il decentramento della biennale e che la critica continua a promuovere mostre di sconosciuti quanto discutibili artisti ai quali mette a disposizione importanti spazi. Ben venga quindi Vittorio Sgarbi a troncare il silenzio di questo artista e a scovarne le opere tra i diffidenti collezionisti che a suo avviso ne avrebbero preferito l’oblio per non rinunciare neanche un attimo alla vista dei personaggi rigorosamente immortalati nel suo studio.




31 dipinti ad olio e 69 disegni si aprono nella sala delle volte scanditi da un’illuminazione che non rende loro giustizia. Dall’oscurità emergono volti violentemente illuminati, sagome che si lasciano alle spalle ombre che non sembrano appartenergli. Sono contadini in fiera posa, ragazzi di strada che anticipano i protagonisti di Sciuscià o di Ladri di biciclette, ma sono anche giovani eleganti paradossalmente sistemati tra casse e panche lignee del suo caotico studio. Immagini immobili che nella loro fissità esprimono una forte tensione spirituale accentuata dal vibrare della densa materia pittorica. I riferimenti artistici di Brancaleone si muovono tra l’essenzialità formale e la sacralità di Piero della Francesca - riviste dagli esponenti del Novecento italiano e dai Valori Plastici - e il sapiente uso della luce caravaggesca che definisce i volumi ed assume una valenza fortemente simbolica esaltando la componente drammatica che è facile cogliere in dipinti come Giovane vinto dalla vita, Ragazzi di strada o Pensieri tristi.



Lo colpisce la tecnica del verista Antonio Mancini che adotta nell’ultima fase del suo percorso artistico. Dopo aver sistemato la scena vi collocava davanti un telaio a reticolo procedendo con la fotografia. Una volta stampata ne riprendeva masse e luminosità e sovrapponeva la grata alla tela che allontanava solo dopo aver finito il dipinto senza occultarne volutamente l’impronta. Autodidatta, Brancaleone Cugusi fece della pittura il suo mestiere: “la pittura è per un lato mestiere, mestiere delicatissimo, apparentemente semplice ma in verità assai complesso e che bisogna dominare familiarizzandosi con esso; senza di che i lampi di genio, l’ipersensibilità coloristica, l’espressione del contenuto non sono possibili”. Ma non riuscì mai ad avere da essa grande appagamento: giunto il momento della tanto agognata mostra - divenuta quasi un’ossessione - per un cinico scherzo del destino Brancaleone Cugusi muore a soli trentanove anni. Proprio due settimane prima dell’inaugurazione.

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