INFERNO. La favolosa mostra a Roma

 


235 opere tra pittura, scultura, illustrazione, incisione e disegno, provenienti da 87 tra musei e collezioni pubbliche e private di 15 paesi europei, ricostruiscono l’evoluzione del concetto di Male in una straordinaria e visionaria mostra. Una delle più intense e spettacolari degli ultimi dieci anni. Forse l’ultima di Jean Clair.


Se volete essere scossi; se volete sapere fino a che punto può estendersi l'immaginazione del dolore; se volete conoscere la poesia delle torture e gli inni della carne e del sangue, scendete nell'Inferno di Dante, scriveva François-René de Chateaubriand. Intesa come luogo di perdizione ed eterno castigo, l’iconografia dell’Inferno deriva dall’Ade greco e dallo Sheol giudaico e vede la sua diffusione a partire dal X secolo, nell’ambito della rappresentazione del Giudizio Universale, con l’obiettivo di terrorizzare i fedeli e indurli al pentimento. Se ciò è valido per tutta l’epoca medievale dalla seconda metà del XIV secolo i filoni narrativi del regno delle tenebre, oltre a provenire dal Vecchio Testamento, sono di evidente matrice dantesca. Ma la mostra di Jean Clair, potente e straordinaria, non è solo una dovuta celebrazione al Sommo Poeta è anche un visionario viaggio nei meandri del male, nella dannazione dell’umana esistenza, tra i mille tormenti dell’anima e del corpo. 




Introduce l’esposizione la fastosa scultura di Francesco Bertos, vorticoso groviglio di corpi avvinghiati che precipitano nell’abisso, trasposizione della Caduta degli angeli ribelli ricavata da un unico blocco marmoreo alla quale si affianca la restaurata e insolita pala d’altare del Beato Angelico “Il Giudizio Finale”; il modello in gesso in scala 1:1 della monumentale “Porta dell’Inferno” di Auguste Rodin e il grottesco “Demonio” in legno policromo di Valladolid.

Alla Catabasi, ovvero alla discesa agli Inferi di un essere vivente, è dedicata la sezione successiva dove emerge prepotentemente l’opera più fotografata dell’esposizione: “Dante e Virgilio” di William-Adolphe Bouguereau. Relegati nella semi oscurità dell’Ottavo Cerchio riservato ai Falsari, i due osservano inorriditi la selvaggia lotta tra Capocchio e Gianni Schicchi, dannati dall’evidente muscolatura scultorea, mentre un demone in volo sogghigna soddisfatto. Segue una sezione dedicata ai lussuriosi amanti Paolo e Francesca, vorticosamente trascinati dalla bufera infernale; la monumentale tela di Gustave Courtois dove Dante incontra il Conte Ugolino conficcato nel ghiaccio impegnato a sbranare il suo fiero pasto; l’Inferno del fiammingo Pieter Huys con la spettacolare battaglia tra angeli e demoni; il celebre “Lucifero” dal penetrante sguardo magnetico di Franz von Stuck e Caronte, il vecchio, bianco dall’antico pelo, di Jose Benliure Gil.




La Tentazione di Sant’Antonio di Antonio Morelli, rappresentato nel tentativo di combattere la seduzione della carne, tra realismo e tardo Romanticismo, è invece il pezzo forte dell’area dedicata alle tentazioni le stesse che ritroviamo nel Teatrino napoletano animato da pupi siciliani e nell’inquietante opera di Salvator Rosa che culmina con l’orrifico mostro che sembra provenire direttamente dalla pellicola Alien. 

E infine, si sa che sono qui di passaggio, e fra qualche settimana non ne rimarrà che un pugno di cenere in qualche campo non lontano, e su un registro un numero di matricola spuntato. Benché inglobati e trascinati senza requie dalla folla innumerevole dei loro consimili, essi soffrono e si trascinano in una opaca intima solitudine, e in solitudine muoiono o scompaiono, senza lasciar traccia nella memoria di nessuno. 




Al piano superiore la bozza originale per la redazione di “Se questo è un uomo” di Primo Levi apre l’indagine sulla complessità della violenza umana e sulla progressiva degenerazione dell’esistenza nei suoi aspetti più brutali, ossia sui molti inquietanti volti dell’Inferno sulla terra. Ad iniziare dalla ferocia del primo conflitto mondiale attraverso lo sguardo impietoso del più grande rappresentante della Nuova Oggettività Otto Dix che, con crudo realismo, incide corpi straziati e decomposti alla stessa stregua dei calchi dei volti talmente dilaniati che ci si chiede come e quanto possano essere sopravvissute le vittime in quelle condizioni disperate. E se Piranesi con le sue visioni claustrofobiche delle “Carceri” costruisce prospettive fuorvianti e atmosfere da incubo, Giacomo Balla, con la tecnica divisionista che anticipa il dinamismo futurista, ben rappresenta l’alienazione con la “Pazza” dalla postura disarticolata e i gesti convulsi che si accosta all’opera del macchiaiolo Telemaco Signorini, dove il silenzio spettrale incombe nello spazio estraneo e senza tempo de “La sala delle agitate”, opera di denuncia sull’emarginazione sociale e sull’abbandono. 




A conclusione del percorso espositivo incontriamo le opere più recenti, dal teatrino con gli orrori della guerra dei fratelli Chapman, alle galassie sublimi di Gerard Richter, fino ad arrivare alle stelle cadenti di Anselm Kiefer che ci ricorda quanto sia minuscola l’umanità davanti all’immensità del cosmo e come di fronte all’infinito si spalanchino abissi di consapevolezza. Inferno non è solo una mostra, è un complesso percorso nei meandri dell’esistenza umana che lascia senza fiato, che stupisce per il potente impatto scenografico e visivo e atterrisce e disorienta per la ferocia. Un’opera d’arte totale, nonostante sia penalizzata in parte da un’illuminazione inadeguata, frutto dell’ingegno del grande storico dell’arte francese in un’epoca allarmante e minacciosa dove regna una civiltà di natura fecale, nella quale ogni individuo ritiene di non dovere più niente alla società ma di potere, da essa, esigere tutto. E la domanda si fa ora urgente: torneremo a riveder le stelle?




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