Studio d'Artista: Caterina Lai

 


Fortemente evocativa, è la materia plasmata con maestria da Caterina Lai, artista dorgalese, classe 1945. Materia che le consente, con l’impeto di una natura primordiale, di affondare le radici nell’importante tradizione ceramica della sua terra, con un approccio scevro da virtuosismi decorativi a favore di un’indagine sperimentale, improntata sull’utilizzo di materiali poveri, come argilla, spaghi e legni, che attinge agli antichi mestieri della tradizione domestica. Con una elevata inclinazione nei confronti delle antiche tecniche ceramiche come Bucchero e Raku.

 Mi parli della tua formazione e degli artisti di riferimento? Nella mia formazione sono stati determinanti gli influssi familiari, mio padre Simeone Lai noto ceramista dorgalese e mio zio Salvatore Fancello che, pur essendo morto precocemente nel 1941 sul fronte greco – albanese, ha lasciato una traccia importante nella storia dell’arte contemporanea. Poi, nel corso del mio apprendistato, ho avuto molti maestri, ognuno dei quali ha inciso in modo diverso sulla mia formazione. Posso citare tra gli altri, lo scultore Ralph Brown, l’incisore Giovanni Job ed Enk De Kramer, Italo Antico, Rosanna Rossi e Primo Pantoli.

Quanto ha influito sulla tua carriera essere figlia di Simeone Lai e nipote di Salvatore Fancello? Le mie origini hanno influito moltissimo sulla mia formazione. A Dorgali, Ciriaco Piras e Simeone Lai, mio padre, hanno creato una scuola di ceramica che ha formato molti giovani talenti, la stessa che frequentò per un’estate anche mio zio, Salvatore Fancello, fratello di mia madre.

Fin da bambina imparo ad avere familiarità con l’argilla, vedendo mio padre lavorare a stampo (lavoravano su stampi o calchi in gesso da loro creati). Inoltre, mio padre mi faceva fare i lavori più umili, come spazzare il laboratorio polveroso, scaricare il forno e spazzolare le terrecotte dalla cenere, girare la manovella di una specie di doppio rullo che si era creato e che serviva per togliere le impurità dall’argilla.

Non ricordo che mi abbia mai dato un pezzo di argilla, da bambina; lo fece solo dopo la maturità, facendomi modellare un cinghiale per un concorso. Da quel contesto assimilo la tecnica, la cifra stilistica, le modalità di lavorazione, anche se nella mia poetica ho sviluppato una mia cifra stilistica personale. Da mia madre Luisa Fancello, rinomata sarta, ho appreso l’importanza della tradizione, il gusto estetico, l’armonia del ricamo.

Quanta importanza hanno avuto gli antichi mestieri della tradizione domestica nel tuo percorso artistico? Gli antichi mestieri, l’arte della manipolazione dell’argilla, la sapiente capacità di usare ago e filo nei ricami di mia madre sarta, ma anche la lavorazione del pane sono ancora presenti nella mia poetica artistica. I miei licuccos, i ciottoli di argilla, spesso si ispirano nella forma e negli allestimenti ad oggetti ripresi dalla tradizione: ai bottoni, alla frutta lasciata ad essiccare appesa nei fili, come accadeva nella case di paese.

Da cosa scaturisce la predilezione per la ceramica Bucchero? Ho scoperto la ceramica Bucchero e Raku nella seconda metà degli anni ottanta. Prediligo la ceramica Bucchero in quanto riesco ad ottenere dei risultati sorprendenti. I manufatti Bucchero hanno sempre qualcosa di misterioso, si riescono a ottenere un’infinità di iridescenze, vari grigi, argento, e sfumature varie, che io chiamo “i colori del nero”. Aprire il forno dopo una cottura è sempre una sorpresa. Gioco molto con i contrasti lucido-opaco, levigato-zigrinato, liscio e graffiato. Ma ottengo dei buoni risultati anche con la ceramica Raku, che però richiede una doppia cottura e l’uso di smalti ingobbi ed ossidi.

 Descrivi il processo creativo di una tua ceramica. Mi lascio guidare dall’istinto e dalle emozioni del momento, di solito parto da un’idea che spesso arriva scavando nel repertorio dell’infanzia o del contemporaneo, che plasmo con l’argilla. Quasi sempre comincio con degli schizzi preparatori o realizzo un vero e proprio progetto. Fra tutte le tecniche di lavorazione, di solito prediligo la modellazione a lastra, oppure per aggiunta diretta del l’argilla; ma a volte applico la tecnica dello stampo su calco in gesso.

Altre volte faccio dei disegni preparatori che passo al tornitore che, a sua volta, li forgia al tornio. Io poi intervengo personalmente alla decorazione, per impronta e segno grafico. Molto spesso aggiungo dei graffi o scritte con detti popolari o proverbi in lingua dialettale sarda. Lascio asciugare l’oggetto e quando l’argilla raggiunge l’effetto cuoio intervengo con una stecca per chiudere i pori e ricavare le parti lisce e lucide.

Gioco molto con il contrasto lucido-opaco e liscio-ruvido. Faccio essiccare i manufatti intervenendo spesso nelle parti levigate. Una volta essiccati i pezzi, metto in forno insieme a della segatura o pezzetti di legno. I forni per bucchero hanno una camera di cottura ermetica. Il fumo che si sprigiona all’interno del forno si lega con l’ossido di ferro dell’argilla, trasformandosi in ossido ferroso. Da questo processo chimico deriva il colore nero dei manufatti. Uso poi i pezzi per realizzare delle grandi installazioni a terra (spiaggia di licuccos) o a parete.

Ti consideri più artista o ceramista? Mi considero più artista e meno artigiana. Ma non si può essere artisti se alla base non c’è una solida preparazione tecnica.

Qual è stato l’evento determinante del tuo percorso? Tutte le mostre cui ho partecipato sono state importanti per la mia vita da artista. Dalle esposizioni al Man di Nuoro, al Mart di Rovereto, sino ad una collettiva organizzata a Chicago.

Qual è il rapporto tra forma e concetto in una tua opera? È dal concetto, dall’idea che parto ogni volta che cerco poi di rappresentare con una forma. Tutto è controllato, studiato e segue una logica. Ma è capitato anche di ottenere risultati inattesi durante la cottura dell’argilla e magari di rimanere piacevolmente sorpresa da un risultato inaspettato.

La tua opinione in merito al panorama artistico isolano. In Sardegna c’è stata ed è presente una produzione artistica molto importante con artisti storici che  hanno fatto dei lavori molto interessanti che meriterebbero maggiori spazi nel contesto artistico nazionale. L’insularità e, a volte l’autoreferenzialità, non hanno giocato a favore di questi grandi talenti.

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