Roberto Goffi_La casa di Carol Rama




Il buio mi difende da quello che può succedermi ogni giorno, mi aiuta a superare le cose negative, è un’astuzia con cui credo di modificare un po’ la mia vita. Perché ogni nuova giornata è un’operazione molto bella e coraggiosa, ma anche così difficile. C’è chi si toglie le angosce facendo shopping, io col buio in casa. Pareti dipinte di grigio, tende nere alle finestre e un grande letto dove trascorrere gran parte del tempo e ricevere amici illustri. Tutt’intorno frammenti del passato che sono diventati ragione di vita. Linfa a cui attingere per esprimere l’inesprimibile. Ogni dettaglio della casa di Carol Rama – una mansarda di via Napione a Torino - è la trasposizione delle sue irriverenti e trasgressive opere. E tutto ciò Roberto Goffi lo comprende già dal 1985 quando immortala la casa-museo per un articolo di Corrado Levi su Domus, nonostante il taglio documentaristico e la scelta del colore. Perché solo il rigore del bianco e nero svela la vera struttura e l’essenza delle cose.
Roberto Goffi ha intuito il significato intrinseco della casa dove Carol Rama ha vissuto per settant’anni. Ha colto l’atmosfera mistica di quella che è l’opera d’arte totale di questa immensa artista. Una wunderkammer fatta di oggetti-feticcio, reliquie, frammenti d’identità che hanno rappresentato una costante del suo percorso artistico, attraversando le avanguardie del XX secolo. Tra questi protesi in legno, dentiere, orinatoi, pennelli da barba, provette in vetro. E ancora camere d’aria di biciclette provenienti dalla fabbrica del padre suicida e forme da scarpa del nonno calzolaio. Ovvero tutti quei simulacri che hanno consentito la discesa agli inferi della sua anima.
L’oggetto tedesco, che è una cosa che mi ha regalato mio padre, è una vetrina della mesticheria torinese in Corso Francia e questi sono tutti i vasetti di polveri per gli acquerelli. Forse bisognerebbe fotografarlo, Goffi, vorrei vedere questo mobile con questi mille vasetti, questo angolo e anche il quadro, si, si, bisogna farlo.” E Goffi lo ha fatto. Lo ha fatto egregiamente testimoniando la complessità della sua vita e della sua arte attraverso quegli oggetti. Ne ha colto il caos esistenziale indagando il concetto di memoria. Ed ecco che alle pareti le fotografie di Andy Warhol, Duchamp e Man Ray si mescolano alle poesie di Sanguineti e ai ritratti di Carol, mentre poggiate su un mobile luccicano in bella vista le scarpe donate da Jolas quando, alla prima del Sigfrido alla Scala, perse le sue. E ancora, la testa proveniente dal Museo Archeologico di Roma presa in prestito in maniera rocambolesca durante il secondo conflitto mondiale e mai restituita; la scatola dove Man Ray custodiva la macchina fotografica e quelle più piccole dove la madre teneva i gioielli di famiglia finiti al Monte di Pietà; il suo ritratto davanti all’Olivetti appartenuta al padre e ancora sculture, collane, bracciali, caraffe, lampade, attrezzi d’ogni genere, una catasta di cataloghi all’interno di una cassetta di frutta e un tamburo accanto al letto.
Risale a maggio del 2000, la serie fotografica - realizzata con pellicola piana e un obiettivo degli anni ’30 che degrada progressivamente l’immagine - da cui sono state selezionate le 25 opere in mostra. La predilezione per gli antichi procedimenti fotografici come dagherrotipi, stampe al carbone su diversi supporti, platini e calcografie a grana sono congeniali a scoprire e restituire con passione e sensibilità la bellezza e la poesia delle cose. Il modus operandi di Roberto Goffi non si ferma alla superficie ma penetra la struttura degli oggetti attraverso la luce e possiede quel grande valore aggiunto incarnato dalla scelta rigorosa dell’analogico e della manualità in camera oscura.
L’estrema capacità di catturare l’anima delle cose e di consegnarne le immagini alla storia fanno di questo eccellente artista il portavoce attento di un ricordo che diventa poesia, il testimone di un preciso momento capace di renderne visibile l’anima, di cogliere il valore metaforico degli oggetti di Carol intrisi di pathos e di dolore, perché a sua detta: “ricordare non basta. Perché i ricordi in sé non sono ancora poesia. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo, gesto; quando non hanno più nome e più non si distinguono dall’essere nostro, solo allora può avvenire che in un attimo rarissimo di grazia dal loro folto prorompa e si levi la prima parola di un verso.”

Roberta Vanali 

Bibliografia
R. Goffi, Rivelazioni barocche 1999, da Intervento per la Giornata di Studio “Architettura e fotografia”, Torino, dicembre 2000.
C. Levi, Del come da un registratore in casa di Carol Rama uscirono cose straordinarie con un incontro a sorpresa, in “Domus” n. 659, Milano, Marzo 1985.
C. Mundici, Lo scandalo della pittura orale, in “Il Giornale dell’Arte” n. 222, Torino, giugno 2003.
R. Vanali, Il corpo come autoterapia, in “Carol Rama. Lei, Lui, Loro”, catalogo della mostra omonima di Carol Rama in Sardegna, Arti Grafiche Pisano, Cagliari, aprile 2016.


(Testo di presentazione della mostra Roberto Goffi_La casa di Carol Rama, a cura di Roberta Vanali per il CFC di Cristian Castelnuovo.)

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