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Al di là del confine ultimo. Boltanski a Torino
Passato e presente, presenza e assenza, vita e
morte. Sono i concetti sviluppati nell’ultimo, coinvolgente progetto
site specific da Christian Boltanski. Che, attraverso la drammaticità
delle cose comuni, racconta il mito.
“Sin dal giorno della mia nascita, la morte ha iniziato il suo cammino. Sta camminando verso di me, senza fretta”.
Incarna l’ossessione dell’artista che archivia battiti del cuore e che
ha venduto la propria vita a un collezionista, la citazione di Jean
Cocteau, ovvero l’inesorabile scorrere del tempo e la consapevolezza
della precarietà dell’esistenza, dal momento che siamo inevitabilmente
destinati alla fine ma nulla sappiamo del Dopo.
Ragion per cui Christian Boltanski (Parigi, 1944) si
appropria di esistenze passate per ripercorrere la storia, costruire
archivi della memoria per preservare dall’oblio la gente comune ed
esorcizzare la caducità della vita, i misteri dell’inconscio e la morte.
Dopo la quale nulla è possibile. Nel tentativo ultimo di dimostrare
l’assenza, più acuta e drammatica della presenza.
Si presenta come una sintesi delle riflessioni sviluppate nell’arco
della sua carriera, l’ultimo progetto site specific che l’artista ha
presentato a Torino: un percorso espositivo concepito come
un’installazione totale, che accoglie il pubblico con duecento
monumentali fotografie stampate su tessuti leggeri e trasparenti. Anime
diafane, evanescenti e fluttuanti rivelano che ciò che resta dopo la
morte è solo uno sguardo catturato da una vecchia foto. Ma è anche la
metafora dell’esistenza, sospesa in balia dell’incertezza, di passaggio
in questo mondo in attesa della morte.
E se il passato ritorna nell’installazione dinamica a concretizzare
fantasmi attraverso il racconto dell’umanità e della lanterna magica che
proietta ombre oscure che in una danza macabra si dilatano nello
spazio, nel piano sottostante l’artista dà vita a un cimitero
consacrando altari, costruendo torri, edifici instabili fatti di
materiali effimeri, che pone al cospetto della flebile luce di lampadine
colorate a comporre la parola Dopo. Ma non prima di sorprenderci con l’improvvisa esplosione dell’applauso interminabile di Clapping Hands
– video che l’artista dedica a Mario Merz –, lo stesso a cui assistette
per la prima volta in occasione del funerale dell’amico artista.
In lotta contro il tempo, passato e presente convivono in simbiosi in
un’integrazione a tratti sconcertante, in questo progetto di forte
impatto emotivo che si conclude con Entre Temps, fotogrammi in
loop che insistono su volto dell’artista scandendo il passaggio del
tempo. Perché nessuno è immune dalla fine e nulla ha più senso davanti
alla morte. Unica certezza dell’esistenza.
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