La forza della fragilità di Gui Pondè
La fragilità umana nelle opere di Gui Pondè, metafore di equilibri precari. Di frantumi dell’anima raccolti e custoditi con la volontà di esorcizzare la morte.
"Che cos'è, dunque l'uomo? “Un vaso che alla più piccola scossa, al più piccolo movimento va in frantumi." Ben si addice la citazione di Seneca al campo d’indagine di Gui Pondè (Rio de Janeiro, 1983) che interpreta la fragilità umana come percezione dei propri limiti senza trascurarne i punti di forza. Perciò si affida a materiali come la carta lucida dove imprime il suo ritratto che contrappone ad un mattone in terra cruda giocando sui contrasti. Tra inganno e realtà simula materiali pesanti con la carta, raccoglie frammenti dove interviene minuziosamente e li classifica come insetti trafitti dagli spilli dentro le loro teche, per mettere a nudo l’anima in frantumi.
Mentre la ricerca di un equilibrio precario è incarnata dall’installazione di casette sospese a pochi centimetri da acque torbide e minacciose, espone una tavolozza fatta di ciottoli e gomme da cancellare. Quella di Pondè è malinconica poesia venata di ironia che riflette la dimensione della vulnerabilità umana nel tentativo di esorcizzare paura, solitudine e morte. E superare il dramma della fine.
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