La Fondazione tra le montagne


Nasce una Fondazione per l’arte tra le montagne della Sardegna. Si chiama la Stazione dell’Arte ed è stata dedicata a Maria Lai per volontà dell’intero paese, Ulassai. In un luogo dove l’arte è riuscita ad oltrepassare diffidenza ed incredulità…




Tutto ha inizio l’8 settembre del 1981 con Legarsi alla montagna. Doveva essere un monumento ai caduti, ma divenne una performance collettiva quella che Maria Lai (Ulassai, 1919) propose. Ricalcando l’antica leggenda secondo la quale una bambina si salvò dal crollo della caverna dove trovò rifugio, mossa dallo stupore di vedere un nastro celeste calarsi dal cielo -tra favola e poesia- l’artista collegò tra loro le abitazioni di Ulassai con ventisei chilometri di nastro, per culminare nella montagna sui cui si arrampica il piccolo centro. Operazione simbolica, che aldilà dell’aspetto estetico e del significato concettuale, coinvolgerà tutta la comunità invitandola ad interagire e confrontarsi per superare quella barriera d’isolamento ma soprattutto d’inimicizia e diffidenza. Contribuendo al primo germe di un’apertura mentale mai prospettata prima di allora. Ventiquattro anni dopo, la donazione di una consistente selezione d'opere da parte dell'artista al comune farà da input per l’istituzione di una fondazione che ha trovato spazio nei ristrutturati locali dell’ex stazione ferroviaria in disuso da cinquant’anni. L’8 luglio 2006, l’inaugurazione della Fondazione Stazione dell’Arte segna quindi un’altra tappa fondamentale per Maria Lai e il suo paese natale. Insomma con la Stazione dell’Arte il nastro celeste continuerà la sua opera, e noi speriamo in modo altrettanto entusiasmante, auspica il Presidente della Fondazione Alberto Cannas, per un museo che si rinnoverà ogni sei mesi con l’ausilio di un comitato scientifico, tra cui Angela Migliavacca, e una programmazione per blocchi tematici. Due locali distinti e perfettamente identici, che ricordano la struttura di antiche locomotive, ospitano le prime opere selezionate. Al pianterreno del primo stabile una grande sala riunisce le Geografie. Dalla Mappa di Colombo (1983) alla Notte dei mondi cuciti (2006), mappe astrali, antichi portolani metafisici, metafore degli sconfinati spazi che si aprono all’improvviso tra le montagne.

Il piano superiore è riservato a personalità che hanno affiancato l’artista - Salvatore Cambosu, amico e maestro, Arturo Martini, docente all’Accademia di Belle Arti a Venezia e lo scrittore Giuseppe Dessì- e ispirato opere come Il Dio distratto, libro d’artista in tela cucita, Maria Pietra e Il ritorno della capretta, progetti installativi in terracotta che affondano le radici nella mitologia isolana. Come il pane quotidiano l’arte richiede continue ripetizioni è la frase che accoglie il visitatore all’entrata del secondo caseggiato dove prende posto la solenne installazione Invito a tavola, concepita in occasione di Pitti Immagine Casa nel 2004. Sacrale tavola imbandita che attende commensali avidi di cibo per l’anima e dove compaiono due costanti della ricerca dell’artista. Il pane, poiché ogni opera d’arte deve diventare pane da offrire a una mensa comune e il libro dalle scritture illeggibili, codici segreti, indecifrabili, che rinnovano incessantemente il linguaggio universale dell’arte, presentati per la prima volta alla biennale veneziana del 1978. Introdotta da Sa matt’e e s’olia, grovigli di fili in rame ad incarnare la pianta d’ulivo, l’ultima sala è una summa del progetto messo in opera per il Museo dell’Olio di Farfa per il quale Maria ha realizzato un percorso visivo ad emblematizzare i cinque elementi indispensabili alla coltivazione dell’ulivo: il Solco che scava la terra, il Sasso che lascia spazio alle radici, il Sole che alimenta la pianta, la Scure che la pota con rigore e il Sale che ne addolcisce i frutti.


Nonostante il patrimonio donato dall’artista, la Fondazione non nasce esclusivamente per ricordarne il lungo e articolato percorso ma l’obiettivo è altresì quello di promuovere ricerche, convegni, mostre e workshop anche attraverso la lettura della sua opera con il sostegno di artisti, docenti e critici. Come quello appena concluso, curato da Anna Caterina Piras, che ha visto lo sviluppo di una performance collettiva, di dodici giorni, con Maria e giovani artisti provenienti da New York e Tokyo e che da aprile toccherà le due città con il progetto conclusivo Maria e il mondo. Ma la Fondazione non è l’unica grande testimonianza dell’artista ad Ulassai in quanto il paese tra le montagne si configura come un vero e proprio museo a cielo aperto con numerosi interventi site specific. Ad iniziare delle grandi pareti rocciose che esibiscono le Capre cucite con grandi graffe in ferro che richiamano l’ordito, la Strada del Rito (calchi in cemento con pani e pesci fissati sui muri per sette chilometri) e il Muro del Groviglio (matasse di filo incise sulle pareti a dipanare poetiche frasi). Per arrivare al Lavatoio, detto anche Fontana che suona a seguito del p rezioso apporto di Nivola (completata esternamente da mosaici di Strazza e Veronesi), passando per la Scarpata, grande installazione in cemento armato, acciaio e pietra a scandire il passaggio dall’antico al moderno, e la Casa delle Inquietudini, dove prendono forma i mostri dell’inconscio. Menestrello di storie imbastite col filo della memoria, narratrice di fiabe e leggende, evocatrice di miti, Maria Lai guarda il mondo con gli occhi di una bambina incantando chi l’ascolta e sorprendendo con la sua innegabile semplicità e che malgrado l’aspetto ludico, peculiare dell’intera espressione artistica, è facile leggere i drammatici aspetti dell’identità isolana ma anche le sue ataviche tradizioni. Questi motivazioni ne fanno indiscutibilmente una delle artiste più rappresentative dell’isola, che ci rivela: “eccomi infine all’ultimo mio naufragio in Sardegna. Che non è un ritorno a casa. Il viaggio è la casa. Non solo la mia casa ma quella di tutti noi. Siamo sulla terra che gira a circa trenta chilometri al secondo, in un viaggio che è pur sempre un viaggio speciale, dove non si distingue la partenza dal ritorno. La vera nostalgia non è quella per un’isola. È l’ansia di infinito.” (Roberta Vanali - Exibart)

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