Lia Drei
Ogni sua composizione dissimula l’ansia febbrile, il ribollio di pensieri che la fermenta, quell’ansioso moto d’indagine attraverso chi ha, caparbiamente, inteso dare consistenza visiva ai suoi impulsi interiori, alle proprie riflessioni sulle prospettive infinite dell’esistenza, pur nella consapevolezza di teorie della visibilità e di leggi che regolano i fenomeni della percezione. Non a caso Teodolinda Coltellaro insiste nell’evidenziare quanto Lia Drei, al di là del razionale ordine progettuale che determina il codice espressivo del suo percorso, riveli quel coinvolgimento emotivo che è alla base di chi s’interroga sulla condizione esistenziale. La sensazione che si percepisce entrando nelle sale del Museo di Calasetta, - dove è allestita l’antologica dedicata all’artista recentemente scomparsa – è quella di avere a che fare con una personalità affascinata dai dettami della Gelst ma che al contempo riflette una visione emozionale che prescinde dal rigore concettuale.
Attraverso venti dipinti, la mostra intende ricostruire le tappe più significative di un percorso - dove la natura è fonte inarrestabile d’ispirazione - che ha avuto origine con il Gruppo ’63, del quale è stata firmataria con Francesco Guerrieri, Lucia di Luciano e Giovanni Pizzo, per giungere all’ultima produzione pensata in risposta ad alcune opere atipiche di Dufy viste nel 2004.
Dall’articolazione di primarie forme geometriche, delimitate da campiture piatte, che muovono dalla ricerca di omogeneità in relazione a spazio e cromatismo, origina la sperimentazione all’interno del Gruppo ’63. In dipinti come Operazione spaziocromatica 02 e Operazione modulare spaziocromatica 4, l’artista affida alla sovrapposizione dei cerchi il compito di svelare una condizione di tensione ed equilibrio, rimarcata dal sapiente accostamento dei colori, volutamente sferzanti, che suggeriscono inattese dilatazioni formali. Ma la rigorosità scientifica degli studi sulla struttura della percezione si rivela presto troppo stretta per Lia che, insieme a Guerrieri, istituisce il binomio Sperimentale P (P è inteso come puro) mirando a reperire o costituire degli elementi di linguaggio validi intersoggettivamente. Attraverso un metodo di ricerca mai rigidamente logico, bensì metalogico, che prevede l’ammissione di quei processi intuitivi a favore di una ricerca che non può eludere dall’estetica, si rivela indispensabile lo studio delle leggi dinamiche in quanto l’efficacia obiettiva e intersoggettiva si risolve in efficacia ottico-percettiva. Appartengono a questa fase Operazione spaziocromatica L20, Struttura A9, Struttura spaziocromatica B3 e Struttura B2 dove sull’intera superficie si stagliano successioni seriali di forme geometriche pure, nell’intento di giungere a stimolazioni retiniche che sviluppino l’effetto cinetico della composizione.
Negli anni settanta approfondisce ulteriormente la ricerca mediante divergenze e convergenze applicate ai triangoli per una simultaneità delle forme dove la natura si palesa in ogni frammento. Nascono epifanie luministiche come Cristallo trasgredito, Dietro la luce e Parlando di pittura con Enid Smiley nel suo giardino di Venezia. Dall’esigenza di uscire dai limiti del quadro scaturisce Spaziotempo K3 anticipando la ripresa dei Cristalli trasgrediti che subiscono ora interruzioni improvvise della linea. Talvolta spessa altre sottile, essa accenna spazi, si racchiude in geometrismi dove il colore scarnifica liberando l’artista dalla logica della composizione per utilizzare forma e cromatismi come mezzo conoscitivo. Dopo un periodo dedicato alla Metapittura, Lia Drei riprende il triangolo, forma che la riporta a quei cristalli che ora vengono racchiusi da altri e che originano da linee tratteggiate, punti in successione che si alternano a linee nette, a delimitare un tracciato come nel caso di Dopodomani. Le strutturazioni nel 2004 divengono astrazioni di elementi floreali (Nel tempo del sogno vagando). Folgorata da una mostra di Dufy, Lia Drei darà vita all’ultima serie di opere dipingendo quei fiori che tanto amava e che affiorano stilizzati dai quei triangoli che l’accompagnarono nel suo percorso tra sintesi formale, modulazioni ritmiche e vibrazioni dinamiche in un cammino che è compendio di esperienze formali riconducibili ad un principio più alto, un principio di stile, non solo dell’arte ma della vita.
(Roberta Vanali - Pubblicato su Terzoocchio n. 116)
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