Il gioco di Maria Lai
“Giocavo con grande serietà ad un certo punto i miei giochi li hanno chiamati arte”. Metafore dell’arte e dell’esistenza nella poetica di un’artista che risponde a contraddizioni ed inquietudini tessendo in silenzio i destini dell’umanità...
Osservando le enigmatiche tele cucite di Maria Lai ciò che affiora alla mente è un universo di mari e terre che si accalcano a formare antiche carte geografiche, luoghi leggendari oramai scomparsi, ingoiati dagli abissi. E’ una sorpresa scoprire, invece, che gli spazi, ricavati da surreali prospettive, non sono altro che vaste proiezioni del suo paese natio, Ulassai. Questo robusto filo che la tiene legata alla sua terra l’accompagna da quando adolescente assimilava la lezione di Arturo Martini con i suoi riferimenti ad una classicità arcaica, all’antropologia, alla spontaneità del gesto e della creazione, ai quali l’artista intreccia simbologie ancestrali che la sua terra da sempre le offre. Narratrice di fiabe e leggende, ma anche evocatrice di dolore, fatica e solitudine, Maria Lai incarna lo spirito di una bambina alla continua scoperta di nuovi mondi, quella stessa bambina che a soli quattro anni tentò di fuggire con una famiglia circense, e che tra i suoi lunghi viaggi nella fantasia rivela sofferenza e malinconia. Fonte d’ispirazione di parte delle opere esposte al piano terra del Man deriva dall’interpretazione di “Cuore mio”, scritto da Salvatore Cambosu la cui protagonista, Maria Pietra, per salvare il figlio dalla morte si avvarrà dei suoi poteri magici.
Le sagome di bestiole legate ad un filo in “Delirio” sono gli animali del bosco con il quale il bambino in fin di vita chiederà di poter giocare. “Cuore mio” altro non è che la nascita della creatività dalla più cruda sofferenza, la follia di una madre che dopo aver perso il proprio figlio lo ricrea impastando lacrime e farina. Amore e morte questi i temi che emergono dalle sue fiabe, metafore dell’arte, miti che restituiscono la nostra realtà. L’aura magica che avvolge le opere di Maria Lai cela segreti ancestrali colmi di pathos che ritroviamo negli intricati grovigli di “Babele”, teca vitrea contenente libri in tessuto liricamente scritti con “fili di parole che cadono come grovigli di pensieri mai dipanati”. E ancora labirinti inestricabili di fili d’oro e d’argento ad assemblare stoffe raffinate nelle “Fate operose”, le mitiche Janas nate per magia da uno sciame d’api che insegneranno alle donne sarde a filare e tessere, arti che diverranno alfabeto e quindi memoria. La considerazione dell’arte attraverso la metafora confluisce nella quotidianità per cogliere le forme simboliche del mito, liberare la creatività legata all’arte povera, alla panificazione, alla tessitura. Un’artista legata agli antichi mestieri della donna, che risponde a contraddizioni ed inquietudini dell’esistenza tessendo in silenzio i destini dell’umanità.
Come un gioco è la summa della poetica di Maria Lai artista consapevole che il linguaggio creativo sia vicino alla gente più comune ed è proprio a loro che offre gli spunti poetici per sviluppare ed arricchire il gioco... "sperimentare la possibilità creativa di chi è conscio, nel momento in cui sceglie di agire, di partecipare ad un grande gioco, di far parte non soltanto di una storia della sua comunità, ma d’essere anche un attore e creatore di una grande immagine che quando riesce è arte."
Come un gioco è la summa della poetica di Maria Lai artista consapevole che il linguaggio creativo sia vicino alla gente più comune ed è proprio a loro che offre gli spunti poetici per sviluppare ed arricchire il gioco... "sperimentare la possibilità creativa di chi è conscio, nel momento in cui sceglie di agire, di partecipare ad un grande gioco, di far parte non soltanto di una storia della sua comunità, ma d’essere anche un attore e creatore di una grande immagine che quando riesce è arte."
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