I libri di Maria Lai
“Io credo che manchi nel mondo una tradizione che è andata perduta, quella dei cantastorie. Non ci sono più cantastorie. Forse, se non fossi andata a studiare avrei fatto questo…” Così come i cantastorie vagando di città in città narravano vecchie credenze popolari, racconti fantastici o tratti dalla realtà del tempo, allo stesso modo Maria Lai (Ulassai, 1919) districa fili di memoria, cuce e scuce liricamente infinite pagine di vita. Sono di stoffa, ceramica, tela grezza, jeans e perfino di pellicola trasparente i libri che l’artista imbastisce fin dagli anni Settanta. Dall’esperienza della Biennale veneziana, dove presenta i suoi primi libri-oggetto, sono trascorsi venticinque anni. Da questo traguardo prende avvio l’antologica che ripercorre le tappe fondamentali che Maria Lai ha dedicato al libro d’artista. Venti le opere in mostra introdotte da Biografia bianca, presentato a Venezia, che ben incarna la produzione propria degli anni Settanta. Di poco successivo è il libro-diario Trattato di Borges ricavato dal bisso e arricchito dall’inserimento di foglie di rosa. Negli anni Ottanta l’artista si cimenta nelle enigmatiche Geografie. Evocano mappe astrali o antichi portolani le metaforiche rappresentazioni degli spazi immensi della sua terra che hanno dato origine a Notturno e Libro in cassetta. Agli anni Novanta appartengono Millequattrocentonovantadue, ispirato alla scoperta dell’America e Il mare ha bisogno di fichi, poetico omaggio all’alluvione fiorentina e ai libri perduti che non potremmo mai leggere.
Da non trascurare Diario di Bordo, libro-scultura in ceramica dipinta, e Curiosape in tela jeans dove l’artista ha cucito piccoli scampoli, memori dei collages infantili, in relazione alle mitiche Janas. Chiude l’esposizione l’ultima opera in ordine cronologico: Il tessitore. Realizzato in terracotta, il volume è rappresentato chiuso e con il solo elemento dinamico che si riduce all’intersezione dei fili d’ottone, allegoria del telaio. Maria Lai cuce e tesse frammenti di realtà vissute, fiabe che rappresentano una sintesi tra la memoria individuale e quella collettiva. L’affabulazione è per l’artista una sorta di ritorno alle origini sotto forma di gioco. Una provocazione fatta di scritture asemantiche che narrano la poesia del gesto creativo e la drammaticità delle inquietudini umane. (r. v. exibart)
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