Domini Naturali



"Se si concede alla natura nulla di più dello stretto indispensabile, la vita dell'uomo vale meno di quella di una bestia." (William Shakespeare)


La distinzione tra natura e cultura è incarnata dalla presenza di leggi rigorose e sinergie stabili. Il mondo della storia e della società risulta infatti costellato di variabilità, precarietà e talvolta caos. Nello scorso secolo Lévi-Strauss sottolinea come la linea di confine tra i due domini, un tempo considerata inequivocabile, appaia molto più sfumata dal momento che si assiste ad un riconoscimento significativo della cultura nel regno della natura, tuttavia l’antropologo francese lancia un severo monito: “L'uomo deve rendersi conto che occupa nel creato uno spazio infinitamente piccolo e che nessuna delle sue invenzioni estetiche può competere con un minerale, un insetto o un fiore. Un uccello, uno scarabeo o una farfalla meritano la stessa fervida attenzione di un quadro di Tiziano o del Tintoretto, ma noi abbiamo dimenticato come guardare.”
Prendendo avvio da questi presupposti dieci artisti di diversa provenienza territoriale e differenti background di appartenenza, analizzano il controverso rapporto tra natura e cultura. Con l’ausilio di tecniche pittoriche e grafiche - dalla pittura all’incisione fino al collage digitale - e con differenti approcci estetici, gli artisti si confrontano con le molteplici declinazioni della natura partendo dall’osservazione delle leggi che governano l’universo - dal momento che vivere sulla terra significa far parte della sua evoluzione - per giungere ad una riflessione sulla relazione tra natura e cultura, con un occhio di riguardo al futuro del paesaggio e all’evoluzione cui è sottoposta la natura in relazione all’uomo. Sia che si tratti di natura benigna o matrigna - benigna poiché ci dona la bellezza del creato e matrigna perché ci priva repentinamente di ciò che concede - essa è sempre stata e sempre sarà motivo di dominio da parte dell’uomo, in un’epoca in cui l’equilibrio tra umanità e natura diventa emergenza e l’individuo appare schiacciato dai suoi stessi limiti. “C’è un piacere nei boschi senza sentieri, / C’è un’estasi sulla spiaggia desolata, / C’è vita, laddove nessuno s’intromette, / Accanto al mar profondo, e alla musica del suo sciabordare: / Non è ch’io ami di meno l’uomo, ma la natura di più.” (George Gordon Byron)

Dal mondo della natura l’uomo entra a far parte del mondo della cultura attraverso lo sviluppo dell’attività mentale. Il passaggio dall’animalità all’umanità è il motivo di sviluppo delle opere di Bachis che nello specifico riflette sul rapporto tra natura e cultura attraverso una serie di collage digitali, tra dimensione estetica e memoria. Lo stesso concetto è chiaramente leggibile nell’opera di Stefano Cozzolino che guarda alla natura come elemento salvifico per l’umanità riportando su tela una visione ipertrofica del danno ambientale causato dall’uomo. “L’uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una natura visibile. Senza rendersi conto che la natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando.” (Hubert Reeves)
Fondata su tratto e gestualità, la pittura di Luigi Bove è il luogo del pensiero e del privato. E’ il pretesto per liberare l’anima dai propri limiti con un approccio terapeutico. Ritmo, intersezione e sovrapposizione di segni lasciano spazio a sgocciolature e ad ispessimenti della materia pittorica come simbolo di accumulazione di memoria individuale e collettiva. Tra linguaggio informale e art brut. La stessa da cui muove Silvia Mei ma dalla quale in parte si discosta, modificando la sua cifra stilistica per azzardare un orientamento surreale nell’abbozzare una luna che schiarisce l’orizzonte ma che al contempo si fa portatrice di una risata grottesca - metafora dell’uomo illuso di poter dominare la natura - che sembra tratta dal film La casa dalle finestre che ridono.
Appartenente alla serie Erratici, l’opera di Alberto Marci realizzata con l’ausilio di tecniche calcografiche e l’intervento di cianotipia e pittura, è il risultato di un modus operandi collettivo basato sulla donazioni di sassi, da parte di sconosciuti, posizionati casualmente e affiancati da un elemento di disturbo, costante nell’opera dell’artista. Anche Veronica Paretta ritiene le tecniche calcografiche congeniali a dare vita al suo Genius Loci dove interpreta la natura come un’evoluzione continua, attraverso un turbinio di segni, per esplorare la potenzialità espressiva della linea. Linea incrociata, sovrapposta e accostata nel tentativo di mettere ordine al caos al quale l’uomo non riesce a far fronte. Non a caso “alla natura si comanda solo ubbidendole”, per parafrasare Bacon.
L’opera di Emanuele Boi Polvere alla Polvere è un memento mori ma che non si limita al solo monito del “ricordati che devi morire”, bensì l’artista trova nella morte del corpo l’unica possibilità di ricongiungimento con la natura, in quanto esso stesso ne è parte integrante. Stesso obiettivo per Fernanda Sanna che utilizza la pittura come pretesto introspettivo e individua nell’accettazione del sé il punto di forza per ritrovare la natura, attraverso un linguaggio sintetico e surreale dove simmetria e geometrismo concedono una narrazione esplicita. E se Antonio Bardino sovverte il principio della classica inquadratura da cartolina per trasferire l’attenzione su una natura che fa parte del quotidiano e si riappropria dei suoi spazi in maniera inaspettata destando meraviglia, Angelo Zedda ne coglie il lato romantico restituendo la bellezza dei paesaggi mozzafiato. Alba, tramonto, crepuscolo e notte sono giocati tra trasparenze cromatiche e improvvise stratificazioni materiche ottenute con pennellate fluide e veloci a sottolineare come “la natura è la differenza tra l’anima e Dio”, per dirla con Pessoa.

Roberta Vanali






Bibliografia
F. Remotti, Cultura, dalla complessità all’impoverimento, Laterza, 2011.
C. Lévi-Strauss, Antropologia strutturale, trad. it. P. Caruso, Il Saggiatore, 2015.

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