SURFACE di Giovanni Loi



“Credo davvero che ci siano cose che nessuno riesce a vedere
prima che vengano fotografate.”
(Diane Arbus)

“Osservare il mondo reale in tutte le sue manifestazioni, per catturarne i suoi segreti con un approccio quasi da biologo. Tutto questo attraverso ripetute esperienze mi danno la possibilità di andare oltre l’apparenza delle cose.” Muovendo dalla realtà del mondo concreto, al confine tra pittura e fotografia, Giovanni Loy cattura dettagli che decontestualizzati vivono di vita propria. Estrapola e isola particolari che risentono dell’annullamento delle regole prospettiche a favore di una rappresentazione bidimensionale. La sua è una scrittura codificata mirata a rendere visibile l’invisibile, è un’indagine approfondita che svela una realtà di superficie, che trasfigura la materia per creare nuove forme, inedite e sorprendenti fino a provocare un senso di straniamento e suggerire infinite possibilità di elaborazione. "I fotografi creativi riflettono se stessi nel mondo, e del mondo si fanno specchio: così, riescono a rendere visibile l'invisibile e a lasciare indelebile traccia del loro sguardo, a detta di Franco Fontana.
L’inclinazione all’astrazione e alla sintesi formale si manifesta attraverso l’attenta osservazione di scenari desolanti, angoli di città fatiscenti: crepe, scrostature e macchie sui muri, ruggine e fori su antichi portoni, residui di segnaletica oramai inutilizzabile, spaccature su carrozzerie di automobili, residui di carta sui pannelli pubblicitari. Quella di Giovanni Loy è una visione pluridimensionale della realtà ispirata al modello pittorico e finalizzata al raggiungimento di effetti informali che ricordano alcune sperimentazioni di Nino Migliori, anticipate da quelle dei rayogrammi di Man Ray, passando per alcune esperienze del fotografo tedesco Peter Keetman, maestro della fotografia soggettiva. Mentre il rigore e l’essenzialità della composizione lo accostano ad alcune inquadrature di Franco Fontana.
Bloccando istanti di realtà l’artista fissa l’attimo facendosi testimone della stratificazione urbana, della memoria ma soprattutto del degrado, destrutturando ed estremizzando il punto di vista a favore di una percezione ingannevole della realtà che è conseguenza della perdita d’identità del soggetto. Al compiacimento estetico e alla sperimentazione degli effetti luministici unisce estrema attenzione al dato cromatico che risulta saturo ma equilibrato. Nelle sue immagini non c’è nulla di riconoscibile, si ha la percezione di trovarsi davanti a qualcosa di familiare senza trovarne riscontro nella realtà - prospettiva accentuata talvolta dalla rielaborazione digitale che scaturisce dall’esigenza di rendere pittorica e dinamica la rappresentazione. - dal momento che la creazione fotografica assoluta nel suo aspetto più libero rinuncia a ogni riproduzione della realtà, perché riprodurrebbe il visibile, per citare Otto Stainer.
Nei fotogrammi di Giovanni Loy c’è tutta la luce della sua terra ma anche l’essenza delle cose. C’è lo sguardo attento che ricrea la realtà, l’attimo che trasfigura l’oggetto e lo rende altro. Ma c’è anche una profonda riflessione sull’incessante scorrere del tempo e sulla caducità dell’esistenza, in queste immagini che sono il riflesso di un pensiero. La traduzione della sua interpretazione delle cose attraverso un linguaggio ipertrofico che diventa universale. Per parafrasare Henri Cartier-Bresson: fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere.


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