Le Muse di Antonio Marras



Una intervista inedita ad Antonio Marras, in occasione di Nulla Dies Sine Linea, che ci parla delle sue muse ispiratrici: Carol Rama e Maria Lai.

A Maria Lai e Carol Rama sarà riservata una parte del progettoNulla dies sine linea”, in quale modo omaggerai queste grandi artiste e perché?
La mostra è soprattutto una  retrospettiva di  tanti  lavori rivisitati e tanti lavori inediti.
Opere datate dai primi anni della mia attività  ad oggi sono esposte durante tutto  percorso della mostra.
Si tratta di 1.200 metri quadri completamente invasi di istallazioni, quadri e opere miste. È stato naturale nominare le due grandi artiste con le quali ho collaborato per TRAMA DOPPIA, la rassegna a quattro mani che ho tenuto ad Alghero dal 2003 al 2007.
Di Maria Lai, della sua fondamentale importanza, ho già parlato. Lei è stata a casa mia nel 2003 per tutta la durata della preparazione della mostra LLENZOLS DE AQUA e mi ha consegnato le chiavi di una stanza segreta. A Carol mi lega una profonda dedizione e passione confluita nella mostra ad Alghero NOI FACCIAMO LORO GUARDANO nel 2006. L’ho conosciuta a Torino nella sua casa meravigliosa e lei e la sua magica treccia non finiranno mai di agitarsi nella mia testa.
In mostra ci saranno miei lavori ispirati alla figura  delle due grandi artiste.
Artiste determinanti, decisive, fondamentali e essenziali per tutto il mio percorso da artista.

Qual è stata la mostra fondamentale per il tuo percorso e perché?
Ricordo il mio primo incontro con l’arte. Risale a tempi lontani, ai tempi della scuola. 
A un taglio di Lucio Fontana, che attirò la mia attenzione di alunno distratto, nella classica visita a un museo, a Roma. Quella tela bianca, lacerata, squarciata, mi catturava. Quel taglio apriva la tela e mi portava al di là. Mi pareva che il taglio aprisse la luce al buio o il buio alla luce e che quel taglio fosse una ferita. 
Poi la scoperta di mostre, musei, guardati  con occhi diversi. 
Ore ed ore a chiedermi che cosa l’opera d’arte volesse dirmi, che cosa mi mettesse in difficoltà, che cosa non capissi. Non era l’opera d’arte incomprensibile, ma ero io ad avere paura di fermarmi qualche istante di più e ascoltare. Abituato a consumare immagini e pensieri in modo veloce, davanti all’arte diventavo lento, lentissimo…  e mi lasciavo avvolgere.
E poi, Maria Lai. Una vera e propria svolta, che ha coinciso con la mia prima collezione. Una figura davvero singolare che ho conosciuto attraverso una sua opera indimenticabile. “Legarsi alla montagna”. Un nastro celeste lungo quasi ventisette  chilometri lega balconi, porte, case di tutto un paese fino alla montagna più alta. Un gioco e un incantesimo, che  coinvolge tutti gli abitanti di Ulassai, gente litigiosa. Accettano di legarsi: il nastro passerà dritto dove c’è rancore, annodato dove c’è amicizia, intrecciato  in un fiocco con appeso un pane dove c’è amore. “Il nastro è l’arte. L’artista è chi sa stupirsi”. 
Con lei ho sempre avuto un rapporto speciale. Un dialogo ininterrotto. Una volta le dissi che avevo copiato un suo disegno. Mi rispose: “Fare arte è un continuo rubare. Non preoccuparti, io rubo dappertutto. Nel momento in cui la rubi, l’opera diventa tua”.  
L’incontro con Maria ha segnato il mio approccio con l’arte e non solo. Ha dato spazio alle mie visioni. Mi ha aperto un cancello; mi ha indicato il filo sul quale camminare sicuro. Io, che  volevo fare l’acrobata, l’ho seguita. 

Quali sono i materiali e le tecniche che prediligi?
Non ho preclusioni né preferenze. Sono onnivoro e ingordo. I punti base sono la commistione di linguaggi, la sperimentazione, la mescolanza  di tecniche e saperi artigianali con lavorazioni inusuali e contemporanee. E ancora progetti che hanno alla base decostruzione e decontestualizzazione. Quello che mi attrae  è l'aspetto irregolare, impuro, grezzo degli oggetti, che per me  costituisce l'unicità e la bellezza.
Un'estetica dell'imperfezione, una ricerca e sperimentazione che trova senso nella dicotomia tra antico e contemporaneo, tra unicità e serialità.

Roberta Vanali


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